1.
Gli Sposi
Teresa Capra, figlia del Marchese Mario e di Cecilia Trissino, sposava
il Conte, o come si scriveva allora, il Co: Girolamo Saverio Bissari
il 23 novembre 1754, testimoni i Sigg. Co: Giulio Porto e Agostin Negri. Da
gran tempo la Cappella della Beata Vergine detta la Moretta, nel Duomo, non
veniva addobbata così pomposamente: la tradizione esigeva che tutti i Bissari
in essa celebrassero le loro nozze; ora dalle nozze di Enrico Bissari e
Vittoria Conti , genitori di Girolamo, eran passati esattamente cinquant'anni.
Ottenuta la dispensa per omettere le pubblicazioni e celebrare la cerimonia nel
pomeriggio, cosa consueta ai Nobili, l'indomani - domenica - gli sposi
avrebbero assistito al Pontificale del Vescovo, presente tutta la Città bene.
Esaurite le poche formalità legali, il piccolo corteo s'avviò per prender posto
nelle carrozze dirette alla villa dei Capra, fuori della Porta Monte, lungo la
strada della riviera, alla Rotonda.
Stemmi delle
famiglie Bissari e Capra
I Capra veramente non erano più
all'altezza di cent'anni prima ed i loro possessi, disseminati un po' dovunque
per il Territorio, s'erano dovuti in parte alienare per compensare le enormi
spese che anch'essi sostenevano ormai da troppo tempo, nel tentativo di
mantenere gli sfarzi usuali, e continuando ad elargire favolose doti alle loro
spose. Restavano pur tuttavia uno dei casati più in vista. Nel contratto di
nozze si legge infatti che Teresa portava a Girolamo una dote di dodicimila
ducati; metà della somma subito, il restante - com'era uso corrente - in
ragione di cinquecento ducati all'anno. Proprio di questo parlavano a bassa
voce i lacché, abbigliati delle lussuose livree, mentre attendevano gl'invitati
al cancello della villa.
La strada acciottolata, con due guide
laterali di lastroni affaticava i cavalli per la pendenza e le scabrosità della
carreggiata,e talvolta i ferri degli animali scalpitanti sprizzavano scintille.
Ad uno ad uno i legni giungevano, sostavano all'ingresso e ripartivano subito
subito lasciando libero il passo agl'invitati seguenti. Molti di essi si
ripromettevano in quell'occasione di farvisita anche ai vicini Conti Valmarana
per ammirarne la villa di cui tanto si parlava per le statue grottesche di nani
che ne coronavano il muro di cinta. Soltantotre anni dopo i Tiepolo avrebbero
iniziato ad affrescarla; circolava già la voce di questa probabile commessa,
ma anche così essa era pur sempre uno dei gioielli architettonici più
conosciuti, non soltanto a Vicenza.
Intanto, nel salone centrale, tutto
era pronto. Le gocce di vetro dell'enorme lampadario di Murano sfavillavano
alla luce di infinite candele, mentre i musici iniziavano una suite. Gli sposi
salivano i gradoni della scalinata affrettando il passo poiché, al precoce
imbrunire, faceva ormai davvero freddo, per le toilettes delle dame. Ai lati
del viale, sui muri, le torce poste ad intervalli regolari erano già accese e
per terra, ogni due bracciate, ardevano fumigando i pegoloni posti
anche alla sommità del lunghissimo muro che circondava la collina.
Da questo episodio trae origine il nostro racconto.
VI - La villa Capra, detta la Rotonda
I due sposi sono infatti i genitori
dei Bissari "giacobini"
che conosceremo più avanti.
Sulla scorta di una documentazione
sparpagliata in numerosissimi documenti - talvolta si trattava solo di
tenuissime tracce - tentiamo di ricostruire la vicenda umana di questa famiglia
che riteniamo opportuno proporre, come abbiamo detto, quale filo narrativo, in
quanto senza la conoscenza di quell'ambiente familiare e delle sue
vicissitudini non è facile ottenere una soddisfacente comprensione dei fatti e
dei motivi che li determinarono.
Ovviamente, proprio in questa parte
si manifesta nella sua interezza la difficoltà di citare troppo frequentemente
le fonti: e quindi il lettore non cercherà ad ogni passo note esplicative e
riferimenti vari, poiché noi ci accontenteremo di offrirgli le sole necessarie.
Girolamo, lo sposo, era l'ultimo di
cinque fratelli. All'epoca del matrimonio contava 34 anni: l'età giusta per
prender moglie. Non che gli fossero mancate le distrazioni. Con le nobildonne
di cui frequentava i salotti s'era concesso comportamenti estremamente liberi,
com'era del resto l'uso del tempo; oppure, specie durante la sua prima
giovinezza, quando a caccia scorrazzava per le campagne, trovava il tempo ed il
modo d'interessarsi alle ragazze dei suoi contadini... Tutte sciocchezzuole...
Due anni prima, a Castelnovo - oggi
Castelnovo di Isola - incrociando la carrozza dei Capra aveva notato in essa la
damina, di ritorno dal collegio.Teresa aveva suppergiù diciotto anni, due occhi
neri come il carbone, e sembrava emanare tanta voglia di vivere, repressa dai
sempre troppo lunghi anni di Convento ov'era stata posta, in educazione.Le
piacque subito. In casa Bissari s'era da tempo considerato anche quel partito,
ma Girolamo non avendo ancor conosciuto la candidata, non s'era mai voluto
sbilanciare. In questa caparbietà non s'era dimostrato da meno dei fratelli più
anziani che, circa l'argomento nozze avevano voluto fare di testa propria,
trascurando del tutto le ragioni della famiglia, come del resto avremo il modo
di vedere. Le frequentazioni tra Capra e Bissari aumentarono finché ci fu la
decisione ormai voluta da tutti, Girolamo compreso. E fu il matrimonio.
Venne un inverno sereno, freddo,
lungo. Teresa, dai Bissari si stava ambientando. In gennaio le abbondanti
nevicate offrirono un'occasione di divertimento in più. Sul Corso gelato si
tenevano varie gare con le slitte trainate dai cavalli. I brevi pomeriggi di
quell'inverno furono indimenticabili. Dopo una bella cioccolata bollente, con
le guance rosse per il gelo, si rientrava poco prima del precoce imbrunire, tra
gli sbuffi poderosi del respiro dei cavalli. Erano giornate varie, rapide,
felici. A Carnevale poi le feste impazzavano. Luminarie alle finestre; accanto
ai portoni, fiaccole accese fino alle ore piccole, in attesa dei padroni
rincasanti dal teatro, dai ricevimenti, dalle accademie, o più semplicemente,
dai caffè. Il Carnevale di Vicenza emulava il fratello maggiore di Venezia,
fatte le dovute proporzioni, tentando di non sfigurare del tutto.
Ai primi di febbraio, Teresa e
Girolamo vollero andare anche al carnevale di Verona. Fatta preparare la carrozza
migliore dai servi, si parte. S'usava a quei tempi porre i bagagli sopra
l'assale posteriore del veicolo e le strade ovviamente non asfaltate, davano
parecchio filo da torcere alle strutture dei mezzi e..... dei viaggiatori.
... andando a vedere la solennità
che si chiama del Venerdì gnocolaro, (il
conte Girolamo Bissari - n.d.r.)
verso S.Martino, perdette fuori d'una cassetta a cui s'aprì il fondo, tutte le
gioie della Moglie per il valore di Ducati dodeci mille, (Con 12mila ducati si
potevano comperare all'incirca 100 ettari di buona terra arativa, n.d.r.) una
borsa con ducati argento sessantatré, quattro cechini, e qualche bagatella di
biancheria. Solamente quando fu arrivato a Verona s'accorse della perdita
fatta, spedì immediat.e un espresso a Vicenza con commissione per istrada di
andare a tutte le Chiese che si trovavano lungo la strada Veronese per avvisare
della perdita fatta. Arrivata la nuova a Vicenza, per commissione dei Rettori,
il giorno seguente furono chiuse le due porte del Castello e di Padova e le
altre erano con guardie e si osservava ognuno che entrava ed usciva. Intanto il
giorno seguente ritornò con la moglie il Co: Bissaro da Verona. La mattina del
Giovedì si presentò al Co: Bissaro un mercatante da lino Bresciano il quale avendolo
interrogato cosa avesse perduto sulla strada Veronese ed inteso la qualità di
robba da esso perduta, subitamente le consegnò la biancheria e la borsa col
danaro perduto, e quanto alla busta delle gioie le disse che era stata
ritrovata da un contadino da Codegnola, che è una villa del Veronese avanti
d'arrivare a Caldiero dalla parte de' monti. Per tale notizia partì
immediatamente il Co: Bissaro col detto Mercatante Bresciano e con due Capi
Sbirri per Codegnuola, (oggi Colognola ai Colli) dove arrivato ed informatosi
con l'Arciprete, secondo la descrizione fatta dal Bresciano, chi potesse essere
il detto contadino, rilevò che non era in paese, ma che doveva capitare la sera
come successe: confessò di avere ritrovata la busta, andò a levarla dalla casa dove
l'aveva riposta e la consegnò al suo padrone.
Questa disavventura scrosciò sui
progetti di divertimento dei due sposini come una doccia gelata, tuttavia non
dubitiamo che il lieto fine non abbia condotto lo stesso ad una bella festa.
Dodicimila ducati in gioielli! Con una tal cifra si potevano comperare circa
240 campi vicentini dell'epoca.Un valore ingente, rinchiuso in una cassa così
sgangherata da perder il fondo per strada! Piccolo episodio che
significativamente ci rivela l'ormai avanzato declino economico delle nobili
Famiglie.
Da sempre era importante Avere
molto per Essere molto, ma ormai troppo spesso ci si doveva
contentare di Sembrare.
Un giorno Teresa s'accorse d'essere
incinta. Non che ne fosse entusiasta, ma si adattò. In fondo era cosa normalissima:
lo scopo fondamentale di ogni matrimonio cristiano; né più né meno di ciò che
tutti s'aspettavano da lei: era moglie dell'erede dei Bissari. Eppure, Teresa
n'ebbe un che di amaro: le sembrava troppo presto. Girolamo, intelligente e
comprensivo, la rincuorava, ma la gravidanza purtroppo si rivelò ben presto
difficile e Teresa dovette a malincuore costringersi ad una immobilità tanto
odiosa quanto indispensabile. Le fantasie di delusione, dapprima solo vaghe
sensazioni, presero sempre più corpo in lei: non aveva inteso sposarsi per
sfornar subito figli! Ed eccola invece quasi inferma... L'assalirono presto i
grigi fantasmi della noia e furono lunghi mesi di tedio mortale Le sembrava
d'essere un'estranea in quella casa.
Un livido giorno dell'ottobre I756
partorì un maschietto: un esserino minuto minuto che sembrava vivere come per
miracolo. Nelle genealogie ufficiali non trovammo traccia alcuna di questa
nascita, ma per una coppia Bissari, in quelle circostanze particolarmente
importanti, urgeva a tal punto la necessità di un erede maschio, che gli sposi
non potevano lasciar passare tre anni dal matrimonio prima di avere un figlio.
Doveva esservi stata o una gravidanza sfortunata, oppure una bambina, poiché le
femmine talvolta non sono citate nelle genealogie.
Solo più recentemente, in una nota
sfuggita in prededenza trovammo la conferma: Teresa portò a termine la sua
travagliata gravidanza ed ebbe un maschietto che però morì due giorni dopo la
nascita, il 12 ottobre 1756. Di lui non c'è rimasto nemmeno il nome.
Sappiamo invece per certo, che il 3
ottobre I757 nasceva felicemente, vivo e vitale, il più che atteso, addirittura
invocato, erede dei Bissari: Camillo Enrico Luigi. Al vecchio Enrico, padre di Girolamo tornarono certamente alla
memoria le parole di Simeone, il Santo Vecchio della Scrittura:
Nunc dimittis
servum tuum Domine... - Adesso
congeda pure il tuo servo o Signore...
Il cielo lo doveva prendere in
parola; infatti, gli restava da vivere un solo altro anno.Con un ottimismo che
possiamo senz'altro consentirgli, così scrive di lui un contemporaneo che lo
conosceva bene, Cesare Tornieri, marito di Sigismonda Bissari, sua figlia:
... Enrico aveva tutte le qualità che possono ricercarsi
in un onesto et ottimo huomo riconosciuto da tutti i letterati per la sapienza
che possedeva: ha composto libri e la memoria di lui durerà fino alla fine del
mondo, e spero sia a godere la gloria del Paradiso. Il suo male fu un poro che
già quattro anni circa, fu visibile sopra la faccia, dalla parte destra, due
dita sotto l'orecchia. Il d.o Conte Enrico, contro il comune parere, fecesi
legare con seta il poro, e in pochi giorni ottenne il suo bramato desiderio,
fece cio è che il poro fu da detta seta tagliato, ma dopo pochi giorni
ricominciò a pullulare e di nuovo lo fece legare come sopra et anco questa
volta ottenne il suo intento; ma siccome presto fu giudicato un poro
cancrenoso, così di nuovo principiò a pullulare, e di nuovo lo fece legare, ma
questa volta non sortì l'effetto come sopra, anzi scattò marcia, per il che fu
chiamato il Dot. Paolo Fracasso alla medicatura di detto poro, e ha promesso la
sua guarigione in 15 giorni, e invece lo ha ridotto a morte: la tolleranza del
povero Co: Enrico con costui fu molto grande, poiché non ha mai permesso che
altri professori della Nostra Città si portino ad esaminare detta medicatura:
finalmente il d.o poro è tanto cresciuto che gli occupava mezza la faccia e
pareva un vero fungo, cosa veramente che faceva orrore, e dal fungo gli usciva
grandissima quantità di acqua e marcia, in modo tale che dové render l'anima al
Creatore. Fu sepolto in Duomo nella sua Cappella...
Al di là delle grandiose,
celebrative, e diciamolo pure, ingenue opinioni dei suoi contemporanei, che
evidentemente sembravano ritener Vicenza caput mundi, dobbiamo tuttavia
ammettere che con Enrico Bissari [si tratta qui del nonno dei Bissari Giacobini]
moriva una delle più eminenti personalità del settecento vicentino. (Per inciso, è suo - anche se adattato da altri - il
libretto de La Silvia, dramma pastorale musicato da Vivaldi e
rappresentato per la prima volta al Teatro
di Piazza di Vicenza
in occasione della Fiera nel maggio del 1710. Riguarda la tribolazione
di Rea Silvia. L'opera è stata poi rappresentata a Milano nel 1717 al
Teatro Regio Ducale).
In quasi tutte queste persone nutrite
del sapere dei Gesuiti, pregno di Controriforma, permanevano i pesanti (in senso attuale beninteso) strascichi culturali del vecchio mondo, forte delle sue
certezze, ma altrettanto ostinato nei pregiudizi da esse figliati. Uno scritto
contro gli Ebrei fruttò ad Enrico senior le lodi e la considerazione dei
"benpensanti.
Frammento
dello scritto di Enrico Bissari Sr. contro gli ebrei
A queste menti tentava timidamente, faticosamente, di
accostarsi la cultura della Ragione, ancora bambina, almeno da noi, perché i
suoi tempi non erano maturi.
Comunque, difficilmente ci si può oggi render conto della
grandiosa attività intellettuale svolta da uomini di quello stampo, nei quali
alla profonda cultura classica s'univa un vero amore per le lettere, le arti e
le nascenti scienze naturali.
Non è qui il caso di parlare anche di altri Vicentini le
cui opere sono rimaste allo stato di manoscritti dimenticati dai posteri e
talvolta a torto. Si deve piuttosto aggiungere una prosaica osservazione:
questi uomini, vivendo di rendita disponevano di molto tempo. Va tuttavia
ascritto a loro merito l'aver impiegato tale tempo in attività intellettive che
hanno senz'alcun dubbio preparato alla cultura dell'epoca successiva. È
comunque curioso per noi sapere che i Padri del Tempio di S. Corona celebrarono
a loro spese una solennissima Messa Cantata in suffragio di Enrico Bissari che
a suo tempo aveva dottamente dibattuto la questione degli Ebrei "dimostrando"
la perfetta legittimità morale dell'intolleranza verso di essi, almeno sul
piano ideologico dell'integralismo cattolico di quei tempi.
Non che il problema degli Ebrei fosse un vero problema
nello stato della Serenissima e tanto meno in Vicenza. Venezia era sorta e
viveva coi traffici: anche - e molto - coi traffici praticati dagli Ebrei. La
legislazione antiebraica in quegli anni - avviata a suo tempo direttamente o
indirettamente dalla Controriforma - era di tendenza esattamente opposta alle
facilitazioni offerte ad essi in varia misura da altri stati europei come
l'Olanda, la Francia, l'Inghilterra, l'Austria.
Nelle città della Terraferma, tuttavia, la presenza degli
Ebrei non era altrettanto benevolmente tollerata. Essi, al solito, sapevano
operare con una concorrenza spietata in taluni commerci, affinati in questo da
secoli di persecuzioni che sembravano averli selezionati apposta per quello
scopo. A Vicenza poi, erano molto pochi, ed ogni levata di scudi contro di essi
era ben vista da tutti pur senza giungere a persecuzioni vere e proprie...
Giocava un ruolo essenziale in questa intolleranza
l'antica, macabra storia, di un bambinetto seviziato e martirizzato da essi, in
una specie di messa nera, a spregio del Cattolicesimo. Fatto, manco a dirlo, dimostratosi
poi assolutamente un grossolano falso storico, ma che giustificò per secoli nel
Vicentino l'intolleranza razziale, mascherandola da intolleranza religiosa. E'
comunque curioso sapere che tuttora si celebra a Marostica la commemorazione di
quel fatto, con tanto di funzioni religiose. Chi scrive vi capitò per caso
proprio il giorno commemorativo.
La Serenissima tollerava gli Ebrei, che comunque non erano
Sudditi.
Essi dapprima praticarono il commercio d'olio e grani,
grazie alle relazioni mantenute coi loro correligionari di tutte le coste del
Mediterraneo orientale creando imprese fiorenti. Nel territorio s'occupavano di
minuti commerci ambulanti e di prestito su pegno. Nel 1777 uscirono
provvedimenti altamente restrittivi alla loro attività, tanto che la loro
emigrazione a Trieste regalò a quel porto austriaco concorrente una classe
molto profittevole all'economia della città. La legislazione antiebraica di
quegli anni era di tendenza esattamente opposta alle facilitazioni offerte in
varia misura da altri stati europei come l'Olanda, la Francia, l'Inghilterra,
l'Austria. Nelle leggi del tempo, a Vicenza era vietata ai Giudei
la condizione civile, ossia il diritto di cittadinanza, né ad essi era permessa
una fissa dimora in Vicenza, ossequio "caritatevole" al mito
dell'ebreo errante.
Costretti a munirsi di un permesso di soggiorno nella
città, che durava qualche giorno, o qualche settimana, esercitavano per lo più
i commerci ambulanti, ed i prestiti di danaro ad alto interesse; bene spesso
chiedevano il rinnovo di tale visto, che veniva del resto loro concesso
abbastanza facilmente, tanto che di visto in visto, di rinnovo in rinnovo,
taluni di essi, ormai, nonostante tutto, dimoravano da tempo in città nella
speranza che non s'intorbidassero troppo le acque. Ad ogni buon conto da noi
non si scatenavano i sanguinosi pogroms frequenti nell' Europa orientale; da
noi gli Ebrei erano spesso irragionevolmente disprezzati dai cristianoni che -
come Enrico Bissari sr.- non avevano dirette ragioni economiche di concorrenza,
solo per fanatismo ideologico-religioso, ma non erano veramente perseguitati.
Essi stessi non se la dovevano prendere più che tanto;
prova ne sia che in meno di vent'anni, nel sec. XVIII, si contano una
quindicina di proclami che, minacciando severissime sanzioni ai trasgressori,
solennemente ingiungono ai "Giudei" di osservare scrupolosamente le
limitazioni al loro soggiorno. Altrettanto regolarmente i Levi, i Salomon, i
Grego, tra gli altri, rinnovavano i loro permessi. Ogni tanto, una bella
conversione al Cristianesimo con relativa solenne abiura in Duomo sanzionava la
definitiva loro accettazione tra il popolo vicentino a tutti gli effetti, con
somma gioia dei Padri dell'Inquisizione di S.Corona, degli Enrichi Bissari e
tanta edificazione del popolo tutto. A titolo di curiosità, fino a pochi anni
fa esisteva in Vicenza un negozio di arredi sacri (cattolici) di proprietà di
un Levi.
Intanto Teresa trascorreva giornate piene. Durante la
bella stagione poteva a suo piacere andarsene in campagna per brevi soggiorni:
la villa della Costa, immersa nel suo parco secolare era davvero una residenza
incantevole, oltre che superba. Quando, bambinetta, vi si era recata la prima
volta – i Capra possedevano terre poco lungi – le avevano fatto notare i due
biscioni che si affrontano nello stemma di ferro battuto sulla nera cancellata
d’ingresso.
I Biscioni nella cancellata della Villa di Costabissara. (Lavoro in realtà ottocentesco) *
Ricordava d’aver chiesto:- … E
mi mangiano i biscioni?
Le Bisce, i Bissari, l'avevano ora
mangiata. E si immaginava un nuovo stemma in cui la capra rampante stava tra i
due rettili con allo sfondo le strisce orizzontali rosso-argentate di Vicenza.
Una delle prime disposizioni che
diede ai servi fu di far verniciare al meglio i biscioni dello stemma ferreo
alla sommità del cancello*, dato che il suo splendore s'era molto appannato per
le intemperie. Le sarebbe piaciuto farli dorare, i biscioni, ma pensò subito
che per il momento non fosse proprio il caso. Fece scrostare la ruggine e
riverniciare di nero le inferriate. Fece mettere ordine nel fossato, sgombrare
le rive del laghetto dalla eccessiva vegetazione, e vi volle tenere dei cigni.
Chiamò il parroco e consegnandogli un'offerta per la Chiesa instaurò con lui il
doveroso e conveniente rapporto. Volle davvero essere subito la Padrona.
Le altre possessioni ricevevano le
visite dei Conti più omeno frequentemente, a seconda delle comodità offerte dal
viaggio e dai luoghi. I Bissari disponevano ancora di una buona scuderia e
discrete carrozze, ma non sempre le condizioni delle strade consentivano
agevoli spostamenti.
Spesso Teresa si recava alla Rotonda,
che era il soggiorno da lei preferito d'estate, vicinissimo alla città e già
nella pace della campagna. Vi poteva suonare il clavicembalo da principiante
qual'era senza timore ch'altri s'avvedesse della sua imperizia. Nessun estraneo
vi poteva udire gli accordi maldestri e quando s'annoiava, passeggiava nel
bosco a coglieva fragole godendosi il fresco.
In città poi, le occasioni di
divertimento non mancavano certamente e Teresa ne approfittava con una frenesia
prima sconosciuta.
Camillino non era un pensiero per
lei. Se ne occupava completamente la balia. Intere giornate trascorrevano senza
che il pensiero del bimbo nemmeno le sfiorasse la mente, ma non se ne
preoccupava più di tanto.
Ammirata da tutti, lo stesso Girolamo
le perdonava volentieri quella sventatezza allegra che voleva godere della sua
fresca età dopo il grigiore della prima sfortunata gravidanza e la fatica della
seconda. Nel grigio palazzone sul Corso occorreva una giovane padrona che
presiedesse al buon funzionamento delle faccende domestiche. Dalla morte della
Contessa Vittoria Conti, moglie del vecchio Enrico, le redini della casa erano
state lasciate nelle mani di Marietta, che poverina, aveva fatto del suo
meglio.
D'altra parte il suocero, con i suoi
impegni nella amministrazione del feudo, con le sue manie di letterato non era
stato certo in grado di occuparsi anche del governo minuto della casa .
Teresa mise ordine nelle competenze
degli ormai pochi servitori e si fece benvolere aumentando nei limiti del
possibile le loro retribuzioni. La guardarobiera ebbe un trattamento speciale,
non soltanto perché abile, ma soprattutto perché giovane: conveniva infatti
togliere eventuali grilli dalla testa di Girolamo ed insieme conveniva disporre
di una persona affidabile e devota.
- Non si sa
mai .
Nonostante la vita spensierata e
gaudente la Contessa Bissari si teneva al corrente sulle novità del tempo
leggendo quel tanto di pubblicazioni che circolavano nei salotti bene. Si
trattava spesso di opere estere tradotte, soprattutto francesi, dal titolo innocente,
libriccini che si potevano tenere tranquillamente nella borsetta; storie a
volte decisamente troppo spinte per il comune senso del pudore. Queste edizioni
erano spesso clandestine, con copertinedi comodo, il taglio oro, a ricordare
quasi il libro di preghiere. I maligni sussurravano che le dame si celassero
più a leggere tali libretti che a fare ciò che in essi era descritto. Durante
le feste, nei salotti più in vista, gli argomenti di conversazione erano quelli
di sempre: l'amore, il pettegolezzo, i nuovi figurini giunti da Parigi, le
musiche del teatro, i capricci e i favolosi cachet delle primedonne.
Il Teatro di Piazza era comodissimo.
Vicenza. Ciò che resta del Teatro di Piazza
Oggi ne rimane soltanto una traccia
proprio accanto alla Basilica: si tratta di una costruzione slanciata,
sostenuta da "tre archi alti vicino al marcà dei socoli ".
Ogni circostanza era pretesto per dei
festeggiamenti. Le oltre settanta feste di precetto rendevano meno agra la vita
anche ai più poveri. I dotti commentavano l'ultima tornata dell'Accademia
Olimpica, dove i più eletti ingegni del tempo avevano distillato il loro succo
cerebrale, quasi sempre intorno ad argomenti che nemmeno osiamo nominare, tanto
ai nostri occhi appaiono peregrini. Al Teatro Olimpico si svolgevano le feste
più importanti.
Vicenza. Il Teatro Olimpico.
Come questa:
"...Questa
sera si fece dai nostri gentiluomini, a loro spese una festa nel Teatro
Olimpico per la partenza del Reggimento del Sig. Andrea Renier. Questa fu
magnifica all'ultimo segno; il Teatro era illuminato a candele e Torchi di
cera, con grandissimi e superbi lampadari di cristallo; la scena era illuminata
tutta a oglio, l'orchestra era posta nel primo gradino della scalinata tutta
ben dipinta; quaranta erano gli stromenti, parte da arco, parte da fiato; era pure
illuminata la sala ultima vicino al Teatro ove anco si giocava; abbondanza vi
fu di rinfreschi e di frutti gelati, anzi, si può dire profusione . Fuvvi
gran concorso di Nobiltà forestiera onde il pulpito nel quale si ballava era
talmente pieno che non si poteva muoversi. Durò la festa dalle due della
nottesino le ore sedeci del giorno seguente, e pure la scalinata del Teatro fu
sempre piena di spettatori sino a quell'ora. Fu questa la più magnifica festa,
che siasi fatta in questo secolo, sì per la copiosa illuminazione, per la
quantità dei sonatori, come pure per l'abbondanza e preziosità de' rinfreschi,
effetto del lusso corrente che vuole l'eccesso in ogni cosa; dicesi che la
spesa per questa festa sia stata di mille e più ducati..."
In questi anni spensierati e gaudenti anche Teresa, come ogni
Dama di rispetto ebbe i suoi corteggiatori. Le stava appresso in particolare,
con una corte insistente appena velata dalla differenza d'età, un ragazzo di
poco più che diciott'anni, gagliardo più che che bello, appariscente più che
piacente, Bissari anche lui, di nome Gualdinello.
Questi Bissari eran parenti alla lontana di Girolamo: nove o
dieci generazioni prima, nella seconda metà del '400, i loro avi erano
fratelli: una parentela, insomma, ormai così lontana che il portar lo stesso
nome tramutava ora in ostilità. E di ostilità non tanto o non più dissimulata,
tra le due famiglie ce n'era a sufficienza: una sorda ostilità, temperata
ancora e sempre dalle belle maniere e dalle convenienze, ancora e sempre e dovunque
rispettate, che facevano dei Nobili vicentini altrettanti, riconosciuti,
campioni del savoir faire.
I sentimenti di Girolamo furono sottoposti a dura prova quando
proprio questo Gualdinello divenne il Cavalier servente di Teresa.
La figura del Cicisbeo o Cavalier servente è tratteggiata
satiricamente già in molti lavori settecenteschi e le commedie di Goldoni ne
offrivano già allora splendidi esempi. Ciò non toglie che le Dame dell'epoca -
ed anche dopo - facessero a gara nell'avere accanto un uomo che almeno
apparentemente mostrasse di essere il loro Innamorato.
Non siamo in grado di sapere, nel nostro caso, chi dei due fosse
più intraprendente ed ardito, se la dama o il ragazzo. La differenza d'età fa
pensare che Teresa dovette incoraggiare Gualdinello e certamente il giovanotto
non si lasciò sfuggire una possibile occasione, d'avventura o... d'altro, come
diremo. D'altra parte era normale che ognuno facesse la sua vita e le tresche
tra Dame e Cavalieri non destavano certo scalpore. Semmai non doveva nascer
scandalo per nessun motivo.
Girolamo, proprio in quei tempi aveva molti pensieri per la
testa e poco tempo disponibile. Dalla morte del padre la cura degli interessi
di famiglia gravava ormai tutta su di lui. Dapprima aveva sottovalutato la
cosa, ma a poco a poco, mentre si addentrava meglio negli affari di casa,
cominciò a capire che tutto era complicato,lungo, e per giunta, incredibilmente
noioso.
Se ne rendeva conto passando le sue ore nello studiolo della
biblioteca a controllare i registri dei suoi fattori. Suo padre aveva tenuto
quelli degli anni passati con una meticolosità esemplare che gli faceva onore.
Da un po' di tempo i Bissari non erano più in grado d'affidare completamente
tutte quelle noiose incombenze soltanto alle mani di amministratori estranei
alla famiglia: probabilmente il declinar delle loro fortune aveva trovato
ragion d'essere proprio nella rapida ascesa di quelle di taluni loro agenti.
Ora potevano permettersi solo qualche servitore ed il buon abate don Lorenzo:
confessore, archivista e all'occorrenza pedagogo. Don Lorenzo Bergamo stava
proprio terminando un buon lavoro; la sua scrittura, bella, regolare, riempiva
i paginoni del Catastico dell'Archivio.
Tra poche settimane tutto sarebbe stato in perfetto ordine. E di
ordine ce n'era più che mai bisogno soprattutto ora: ora che premeva vincere
definitivamente la causa del feudo.
*
Per la realtà storica il cancello attuale è posteriore.