segue il  Giornale di Ottavia Negri Velo

 

Trascrizione di Mirto Sardo  

[con aggiunta delle date esatte tra parentesi quadre]

 

1801

 

P.mo [gennaro 1801]

Bella giornata, e somma speranza di armistizio foriere di pace; ma sulla sera si sente che l’armistizio non è che al Danubio, al Reno, e al Tirolo, e non è venuto ancora uffizialmente in Italia, anzi ieri e oggi si sente il cannone. Si vuole che queste voci di pace sieno sparse ad arte per aver volentieri da noi 24. milla staja di formento

Si dice che in Italia abbiamo una vittoria a Rivoli, Somariva a Padova, e che le cose sono in buon aspetto, e che i Francesi sono respinti 5 miglia di là da Verona. L’uomo ragionevole non dovrebbe temere, stante il talento di Bellegarde, e il valor delle sue truppe, ma chi lo assicura del numero, del raggiro ordinario, e della fatalità. Basta noi vediamo tutto in confuso: la guerra è guerra e può cangiar ogni momento d’aspetto le cose: l’armistizio non si può fare senza vittorie esente da sagrifizi: la pace senza vittorie non può esser che sufficientemente buona. Chi dice che avremo la pace di Campo Formido, chi dice che la demarcazione sarà al Tagliamento, chi alla Piave, ed altri sostengono che certi i Francesi d’una pace decisa dal canto dell’Austria gliela faranno più favorevole.

Se le cose non cangiano la Francia dettarà la legge, e noi vittime sfortunate, esausti e rovinati Dio sa qual destino avremo.

 

2 [gennaro 1801]

Vediamo nella Gazzetta che a Inspruch è segnato l’armistizio, ma in Italia continuamente si si batte. Ieri i Francesi passarono l’Adige a Pescantina, ma furono respinti facendo loro gran prigionieri: ma in fatto cosa sarà? Noi tremiamo ogni giorno, ora si dice che i Francesi vogliono Verona, ora che coll’armistizio Mantova sarà ceduta, ora che saremo invasi, ora si và sperando per poche ore, poi si trema.

Una tal scena d’orrore deve terminare. Frattanto noi vediamo a distruggersi i nostri animali, a divorar le nostre biade, e s’incamminiamo a una gran rovina. Non vediamo salva che in qualche prodigioso trattato, mentre guerra o armistizio colle truppe stanzianti siamo rovinati.Tutti i prigionieri sono passati a Venezia, intendo quei delle prigioni.

 

3 [gennaro 1801]

Questa mattina al solito la terzana delle buone nuove, ma dopo pranzo precipizi e grandi. Si dice che i Francesi han passato l’Adige, vogliono Verona, questa sia bombardata: il Quartier generale a Soave, i Francesi a Caldiero. Partono le cancellarie e tutti gli immensi uffiziali, che qui erano ad aspettar soldo, e a salvar la pancia. Si dice che si sente il cannone. Chi dice armistizio, chi cessione fino al Tagliamento, chi battaglia a Lonigo, gran confusione di cose. I carriaggi processionano da 8 giorni notte e giorno, e ciò sarà sempre che che se ne dica un contrassegno che le cose van male. Arrivano i bagagli dello Stato Maggiore, ma niuno sà cosa debba succedere: quel che par naturale è che andiamo con pacatezza a esser ceduti, e che tutto si andrà ritirando a tal effetto. Si dice gran rovine in Germania.

 

4 [gennaro 1801]

Oggi giugne la nuova che sono entrati i Francesi a Verona pacificamente, che i Tedeschi sfileranno e si porteranno al Tagliamento. Altri vogliono che i Francesi siano entrati in Verona, i Tedeschi nei castelli, e tutta l’armata sino a Villanova disposta a dar una battaglia se le pretese francesi sono eccessive. Noi intanto tremiamo di tutto, e questo rombo tra Verona e Vicenza fa vivere sommamente inquieti. Si vuole che veniamo ceduti per 8 settimane, che ritorneranno i Veneziani, e che sentiremo cose da far stupir il mondo: frattanto la pillola è amara e il raddolcimento è incerto. Gli Uffiziali che giungono sono felici di salvar la pancia per i fichi: essi o pensano a se, o vedono le cose in grande, sicché noi siamo pecore da tosare, e felice notte. I democratici stan zitti perché non vedono l’affar finito, ma bramano l’arrivo che distruggerà tutte le sostanze, e smaniano dei ritardi. Tutto è possibile, ma siamo sempre ridotti al nostro peggio. Mosel e le cancellerie sono partiti.

 

5 [gennaro 1801]

Dalla Porta del Castello non si vede ad arrivar alcun della truppa, ma molti carriaggi vanno e vengono: chi dice i Francesi a Verona, chi nò, chi li crede al di là del Ponte delle Navi, e i Tedeschi di qui. Chi dice gran trattative, chi dice che s’attendono i corrieri, chi crede una battaglia, altri la vogliono impossibile. S’insiste a credere che si battino tutti i giorni, ma non arriva mai un ferito. Sulla sera si sente da un espresso di Cisotti che i Francesi sono a San Michele, e che i Tedeschi con gran ordinanza si ritirano pacificamente, e che il Quartier generale sarà in questa notte a Montebello. Ciò fa credere la cessione di questi paesi, ma l’affare è involto in tali tenebre che darà da temere e da sperare a tutti. Cosa sarà di Venezia? per noi la cosa par decisa. Si sostiene che i Tedeschi perdettero perché i granatieri non vollero battersi. Già o mancanza di truppe, o di rinforzi, o di generali, o di raggiri sono le solite basi sù cui si fondano le perdite. Quando le cose van bene non ci son più mancanze, né tradimenti.

 

6 [gennaro 1801]

Ancora le lusinghe del Trattato di Campo Formio, e altre esaggerazioni di forza tenevano in speranza. Questa sera il Colonello Beccar dello Stato Maggiore col giovine Latour ci disse che eravamo ceduti: ci raccontò queste circostanze che Bellegarde poteva facilmente respingere l’inimico che aveva passato il Mincio ad onta di alcuni battaglioni che non vollero battersi (affar giurato dopo Marengo) ma che al momento che la sua bellissima armata era pari e anche superiore a quella dei Francesi poteva ciò tentare, egli ebbe l’ordine da Vienna di un armistizio, i di cui effetti dovevano essere di poner guarnigione in tutte le piazze, e di fare una ritirata, battendosi se l’inimico voleva attaccarlo in ritirata, sino chi dice al Tagliamento, chi al Lisonzo. Ciò provenne per le perdite in Germania dell’arciduca Giovanni servito dal famoso general Laver che favorì Wurmser a Bassano. Ciò pose Vienna in pericolo a grado che si dovette ceder tutto il Tirolo, e per conseguenza poner in circuizione l’armata d’Italia. Egli soggiunse che Bellegarde era disperato d’una tal circostanza, avendo la più bella truppa che poteva far assai. Ma noi siamo rovinati. Il Quartier generale è a Montecchio Maggiore, si crede che tutta l’armata sfilerà metà per Biron, e metà per Vicenza: gran rovine sulle strade di passaggio. Due deputati si ha spediti a Bellegarde per pregarlo di disciplina, e d’istruzioni: i Francesi sono a Villanova, e li seguono volendo attaccare, ma i Tedeschi si battono in ritirata, e giurano che potrebbero respingerli. Questo è un affar inteso. Le piazze rimangono a Tedeschi, i paesi ai Francesi, si vuol la pace certa, e che ciò durerà poco, ma non si sà più cosa credere.

 

7 [gennaro 1801]

Ritornati i deputati, i quali, come s’intende, nulla rilevarono da Bellegarde: suo fratello però li assicurò che tutto passerà quietamente.

Si sente gran rovine sulle strade derivante da così immenso passaggio.

Noi siam qui angustiati dai pesi, dalle disgrazie che si sentono, e da un avvenire dal quale poco si spera, e da un imminente cangiamento di scena. Fino i patriotti più decisi sono avviliti quanto il più fanatico aristocratico. Questa è una tempesta universale a cui le opinioni differenti non ne cangiano la rovina. L’immaginarsi poi il male maggiore si gusterà il bene se mai arriverà.

Quest’oggi come al solito passano immensi bagagli, di cui molto bene i Romani chiamavano impedimenta: arriva anche della truppa, e per colmo di confusione ne va di nuova. Sembra che in questa notte vi sarà gran passaggio. Si crede che il Quartier generale o non passerà di qui o lo farà di notte.

Tutt’oggi c’era gran confusione mentre si udiva un gran cannonamento, e si voleva battaglie a Lonigo, sul Ponte nuovo ec. ancora non si si vuol persuadere che l’affare è finito, e che l’accordo fra essi è il più verisimile. Dal Mincio a qui si avrebbe aspettato a battersi? con tutto il Tirolo in poter dei Francesi?

 

8 [gennaro 1801]

Questa mattina improvvisamente arrivò l’ordine di chiudersi in casa, serrar le fenestre, mentre essendo passato il Quartier generale di Bellegarde a Lisiera, e molta truppa, quantunque ne fosse piena la città, se ne chiusero le porte, perché i Francesi si avvicinavano. Si sentì il moschetto, e un tiro di cannone. I deputati, il clero, il territorio si presentarono al Gen.ll francese, che li accolse politamente, promettendo quiete etc. entrarono essi quietamente con degli evviva tutti di popolo, e si batterono tutti sull’Isola. Alle 2 tutto era terminato, ma la pena universale è stata immensa. Sfilò l’armata francese tutto il giorno.  Brune si fermò dal Cordellina, e l’imbroglio degli alloggi, dove vollero tutto, inquietarono sommamente tutti. I Francesi sembrano quei dell’altra volta, molti ne vennero riconosciuti: parlando della ritirata di Bellegarde, chi la lodò, chi la chiamò una passeggiata militare: alcuni dissero che seguiranno i Tedeschi fino a Vienna, che avremo la pace, che torneremo Veneziani. Infine l’affare par serio più di quel che si crede, e le piazze in mano dei Tedeschi non può indicar gran cosa. Il disastro è immenso, e non v’è che la Provvidenza che possa assisterci. Si dice che rimanga il governo che abbiamo provvisoriamente. I patriotti paiono zitti, ma si vede gran cappelli tondi col palosso (corta spada), e dei bozzoli.

 

9 [gennaro 1801]

Gran desolazioni, saccheggi, e orrori fuori della Porta di Santa Lucia, e di Padova. Quel che non distrugge affatto l’armata tedesca, lo termina la francese. Pare che siano d’accordo di spargersi in gran distanze per rubare. Queste armate non fanno che 4 miglia al giorno, si battono per rovinare i luoghi, e non le persone. Il cannone si sentì gran tempo, ma si spera che un tal flagello di Dio s’allontanerà. Qui passa un’infinità di truppa e dei cavalli superbi. Tutte le case fanno da mangiare a 30 a 40 uffiziali e soldati: non v’è né pane, né fieni che bastino: ad onta di ciò sono inquieti, e si trema di tutto. Brune sta fermo, e così 40 generali: ora non si pensa che al militare: verrà poi il civile. I Patrioti tacciono, ruminano, osservano, e pajono titubanti. Dio sa cosa succederà. Ora non si parla che delle desolazioni sopra le strade di passaggio, e gli evviva sono cessati. Poca gente gira per la città, e son chiuse tutte le botteghe. Non si credeva di dover soggiacere a una ritirata così terribile. Ma tutto deve avere un carattere di novità, e di distruzione.

10 [gennaro 1801]

Questa ritirata è una ritirata da Attila. Tutto il territorio saccheggiato, precipitato, processioni di contadini che arrivano desolati.

Truppa Francese che arriva, sorte da Santa Lucia, ritorna, va per la Porta di San Bartolomeo, vociferandosi che si accampi, ed abbia avuto dei discapiti; altri dicono che i Tedeschi hanno avuto altri ordini. Intanto ci convien vivere: la città non è approvisionata, i soldati sono insaziabili, i territoriali arrivano in folla. La Provvidenza ci assisti, mentre il momento è deplorabile. Brune è fermo in casa Cordellina, niente si traspira, noi siamo bloccati da tutti i versi, e non si può saper nulla nemmeno da Verona.

 

11 [gennaro 1801]

Gran desolazioni in territorio: si dice comunemente che in premio ai soldati sia stato accordato tre giorni di saccheggio in territorio. Non si conta che guai e rovine, e par di esser in un bosco di ladri. Oggi si ha fucilato un Polacco e par che finalmente il gen.l Brune prenda delle misure. Sembra che le città debbano esser preservate, ma si trema, e non persuade che il pensiero che volendo essi esser serviti essi le preserveranno; ma come mantenere un’ingordigia insaziabile a peso di tutte le case, mentre il pubblico non ha nulla, perché trasportato il tutto dai Tedeschi, senza le campagne che ci aiutino, e come portare tutti i pesi che verranno senza poterne ricavar dai fondi. Faccia la Provvidenza, mentre si prevvede un gran precipizio, e certo un deciso cambiamento di stato, perché non v’è rendite che possano a ciò resistere.

Oggi si volevano i Francesi battuti alla Tesina, impediti certo di passar la Brenta, gran contr’ordine nell’armata tedesca, discesa di Austriaci dal Tirolo: Padova certamente in poter loro, e tagliato il Ponte alle Brentelle. Allora sì diverressimo sepolti. Quel ch’è certo è, che i Francesi ha ritroceduto con una colonna ch’è andata fuori di San Bartolomeo. Ma dal Mincio a qui questa scena deplorabile è sempre succeduta, e non per ciò la ritirata s’è interrotta: s’acquista tempo su la rovina de’ popoli. Castigo del cielo, e per l’orrore, e per la rovina, e per la stagione, e per l’esaurimento in cui siamo: contuttociò il sole, un inverno dolce par che secondi questo fulmine.

Oggi non è arrivata gran truppa, contuttociò ad onta delle partenze la città è piena di uffiziali.

Brune insiste a dire che non saremo né Tedeschi, né Francesi, ma Veneziani.

 

Continua il governo attuale provvisoriamente anzi se lo ha confermato. Questa disposizione, e le disgrazie a quasi tutti accadute nei loro beni fa che non si senta tumulti, né scene interne; ma chi ci assicura dell’avvenire? I Patriotti van dicendo: ora si pensa al militare, verrà poi l’organizzatore, e la voglia di comandare è troppo decisa per crederli tranquilli.

Arrivano seguendo l’armata Breganze, e Carlo Vicentini, dicono essi che il piano interno delle cose è diverso dall’altra volta: che si esaurisce interamente la povera Italia, e che si tratti a Parigi il destino delle cose.

Quì siamo ancora barricati, e non si ha ancora avuto lettere di Verona.

Gran barbe, gran ceffi, magnifiche divise, e bei cavalli nei Francesi, gran ladrerie, e contegno cambiato.

 

12 [gennaro 1801]

Non si sente che le rovine accadute a chi più a chi meno. La piazza è sprovvista, e le botteghe stan chiuse. Oggi i Francesi partono a furia e sembra che l’armata si sia avanzata. Sulla strada di Lisiera vi son due o tre morti insepolti, tanto è divenuta deserta quella infelicissima strada. I generali comprano cavalli, e legni fissandone essi il prezzo, e si distribuisce guardie a chi ne vuole dopo essersi espressi per i primi tre giorni che per la campagna non ne vogliono concedere.

Si dice che deve arrivar una colonna di Cisalpini. Gambara e Breganze son qui.

Enrico Bissaro si dice partito per Milano, chi dice per disimbarrazzarsi, chi dice per impicciarsi negli affari correnti. Ma questo saccheggio fatto indistintamente ha fatto cessare gli ardori del presente ordine di cose.

Si dice Venezia in rivoluzione, credendo di recuperare il suo antico sistema. Sia arte o ché tutti dicono che saremo Veneziani.

Brune è partito, e alla partenza del Quartier generale si dice che arrivi il commissario incombenzato di dare una forte contribuzione. Già le spese pubbliche e private sono eccessive, e un cambiamento di stato deve accadere a tutti.

 

13 [gennaro 1801]

Non si pensa che di sacco e di violenze: molti Uffiziali dicono che si vergognano di essere Francesi, e dicono orrori di Brune.

Le requisizioni sono tanto immense che il nostro paese si conosce vicino a una gran miseria. Non è possibile di soddisfare a brame tanto ingorde e fin cappricciose.

Non si sà nulla, si crede la pace, e tutti immaginano un terribile avvenire. Solo Dio può assisterci.

Non arriva truppa, ma questi diavoli formicolano da per tutto.

 

14 [gennaro 1801]

Passa per qui un Ambasciator Russo, che và a Palermo, convenne la requisizione di 6 cavalli per esser distrutti i cavalli da posta dai Francesi.

Oggi corre armistizio, e si parla meno di pace, che gli altri giorni. Le piazze si sostengono, la provvisorietà del governo austriaco sussiste: le armate sono in presenza: cosa debba sussistere il Cielo lo sà. L’armistizio di Germania indica che in Italia si andrà in conseguenza.

A Padova si dice che non vi sieno né Tedeschi, né Francesi, e che a Venezia tutto è tranquillo.

Questo è il primo giorno che arriva i corrieri, si dice che v’erano due soli pacchetti alla posta, uno di poesie in onore delle armi francesi, l’altro di rami delle mode di Parigi, bel momento per accoglierle, e per aver voglia di farle venire, ma i Francesi son sempre Francesi in tutto.

Pare che vi sarà del conflitto alla Piave.

 

15 [gennaro 1801]

Passa continuamente truppa, e si rimarcò gran cavalleria nell’armata tedesca, e gran fanteria nella francese. Si continua a sperar nelle case l’ingordigia uffiziale, e per colmo varie generalesse seguono gli sposi, e incommodano le famiglie.

Si sentono ancora dei svaliggi, e non si ottiene guardie che per un giorno attese le partenze.

Nei Patriotti regna della melanconia prima perché i Francesi non ancora li considerano, poi ché alcuni hanno sofferto gli orrori del sacco, e altri vedono che il popolo non vorrebbe secondarli, mentre la paura, il danno, e il raccapriccio è universale. Fanno i moderati per forza, e non godono i vantaggi esclusivi dell’altra volta. I Francesi almen per ora devastano tutto, esigono assai, lasciano il governo com’era, e la nobiltà unita alla miseria; ne serve di prova Marostica in cui dei patriotti abbatterono la presidenza e crearono una Municipalità. Il comandante di piazza ordinò alla nostra presidenza di citarli per adempire agli ordini precisi di lasciar il regime che abbiamo. Gran angustia e curiosità somministrano gl’immensi affari correnti: si teme dell’armistizio, della guerra, e persino della pace. Niente si traspira, solo si conosce che ogni bestialità può divenir possibile e fattibile.

 

16 [gennaro 1801]

Continuano i picchetti ad onta delle guardie a ritornare a saccheggiare e a svaliggiare, a prender bovi, e cavalli per forza, e biade di cui si fa pubblico mercato. Tutto il mondo è in affanno, e ognuno può raccontare una storia lagrimevole. Questa sera dopo 9 giorni si fa un manifesto per far cessar le ruberie, ma non si crede più a nulla.

Le famiglie Nievo, Velo e Negri han pagato la posta, e servito coi propri cavalli l’Ambasciator Russo che premeva tanto ai Francesi, e che però non fecero nulla per lui, e lo lasciarono come il resto a nostro peso.

Vita Sbirro trasportò la cassa di Cologna fin che quei abitanti si radunarono in Consiglio. Fatto sbirresco a cui si dovette una pronta restituzione a mille titoli.

Oggi corre armistizio arrivati i Francesi al veneto confine: il non entusiastar i patrioti fa giudicare che potesse ritornar la linea dell’Adige per compensi. Si trema del ritorno d’una truppa che ci annichilerebbe.

 

17 [gennaro 1801]

Oggi passa per qui il generale dello Stato Maggiore  Oudinot  che va a Parigi si dice per le ratifiche della pace. L’Armistizio è fatto e il confine per i Tedeschi è di là del Tagliamento, come diceva la prima voce sempre vera ai tempi nostri. Si dice che Bellegarde e Brune avessero in saccoccia questo armistizio fatto da Moreau dopo i successi della Germania, ma la politica volle far soffrire a questi miseri paesi una ritirata che li distrugge. Si dice che oggi Brune sarà a Vicenza, ma che passerà a Verona. Noi siam qui in pena di tutto: all’apparenza sembra che l’imperatore avrà la linea dell’Adige, primo progetto di Bonaparte, e ciò lo comprova solo il regime nostro confermato, il poco entusiasmo che si permise ai patrioti, e il silenzio che si fa di Venezia. Ma Dio sà come sarà il formidabile passaggio, l’irrequiete dimore, e i raggiri della pace, e gli arbitri dell’esecuzione.

I Francesi fingendo un riscatto di prigionieri sorpresero a dei poveri parrochi e conventi del denaro. Ogni giorno c’è invenzioni e ruberie. Si vuole che i sanitari abbiano servito di guida ai saccheggi Francesi, di fatto non se ne vede più alcuno in città. Ancor questo è un regalo dell’avidità mercantile.

Fu qui un Lecchi che pagò la polizza del suo mangiare essendo alloggiato da noi: unico esempio che merita d’essere scritto.

Tante famiglie consumano in un giorno per gli alloggiati quel che consumerebbero in un mese.

La sola Porta di Santa Lucia sino a Lisiera ha 600 bovi e 200 cavalli all’armata, e si contenterebbe di ricuperarne la metà.

Si fa tombola a teatro, ma nessuna persona onesta e saggia vi và: un bosco di ladri non accomoda.

 

18 [gennaro 1801]

Oggi corre armistizio, e pace di Campo Formido. Il generale Gardan disse: i vincitori non devono abusar dei vinti: il primo console ha sempre proposta la pace di Campo Formido anche se fosse arrivato dentro le porte di Vienna, dunque questo sarà fatto, e voi sarete Austriaci. Intanto cadono le fortezze, Mantova e Venezia restano Austriache. Comincia ad innondarci un regurgito di ladri, e in oggi la città n’era ripiena e tremante, e fuori delle Porte erano accampati i soldati che devono partir domani. Si spera di schivare alcune Divisioni, ma si teme: noi avremo quella del general Mortzein. Quanto tempo debba durare questa immensa distruzione non si sà, pare che la pace sia certa e prossima, ma l’esecuzione diventa arbitraria, e Dio sà a quali raggiri si sottosterà. Ma la Provvidenza dopo tanti gastighi si ricorderà di noi.

 

19 [gennaro 1801]

La truppa ritorna in furia e non è descrivibile l’imbarazzo degli alloggi, delle spese per saziar la loro ingordigia, per mangiare a carico di ciascheduna famiglia. Continuano a rubare, a far mercato delle nostre misere spoglie. Si vede i nostri legni e animali derubati a passar sul corso, ma vi vuole il diavolo per disintricare le cabale per restituire, e ciò costa sagrifici di denaro, minaccie alla persona, e fratture della roba restituita, sicché il pover uomo non azzarda tanto, e abbandona il proprio.

Noi avremo l’ala sinistra della division Mortzein fra Castelfranco, Bassano, e Vicenza. Pare che l’imperatore arriverà fino all’Adige, ma tutto è incerto dettrata la rovina universale.

 

20 [gennaro 1801]

Finalmente dopo il ritorno da tre giorni dell’armata stante l’armistizio (furia però osservabile) è giunto qui Brune che accerta la pace fatta, se gl’illuminò il teatro, ma né persone, né battimani s’avvilirono a fargli la corte; il lutto universale è immenso.

Arrivò il nostro generale comandante Moncei, e per lettere di Bassano si sa ch’egli fu d’un qualche conforto ai loro mali. Si dice ch’è un uomo probo, dell’antico regime. Si mostrò inorridito degli eccessi che vide sui nostri territori, promise una disciplina dell’umanità, e di farci godere la pace che avevamo 20 anni fà. Le buone parole piacciono, ma la moda è di distrugger tutto, e poi raddolcire. Arte diabolica del carattere di questa rivoluzione.

È arrivato Monier per far visite, eseguendo il suo pronostico di ritornar dopo 3 anni.

Un uffiziale entusiasto Moreau disse: il primo console della Francia sarà Moreau, e Bonaparte quello dell’Italia, al che Luigi Muzan rispose: così va bene, mentre ancor noi verremo in Francia a recuperar il nostro.

Una vecchia contadina, volendo alcuni Francesi strappargli gli orecchini, essa disse loro tranquillamente: aspettate ch’io li levi che saranno vostri, ma i Francesi che furono nel 1733 erano ben differenti da voi altri. Sù di ciò essi non vollero altro, e la lasciarono.

Aggredito Fontanella da 6 Francesi esso si rivolse con sangue freddo, come mai dei soldati appartenenti alla gran nazione s’abbassano a tali viltà? questi rimasero confusi, e lo lasciarono andar tranquillamente.

 

21 [gennaro 1801]

Partì il Quartier generale per Verona; subito dopo Moncei ordinò l’arresto del concussionario comandante Collin, e del suo aiutante Merlo, ciò rallegrò tutti.

Si ordinò poi tutta la truppa alloggiata nelle case, e si ordinò la rifazione delle distrutte caserme. Ciò proverebbe una dimora; ma tali spese nulla costano ai Francesi, sicché non indica nulla. Essi spargono che i Napolitani sono in Firenze, e fanno orrori, e con ciò la truppa è arrivata in furia dal Tagliamento per delle nuove operazioni. Se ciò è cosa sarebbe di noi. Non è pubblicato il formale dell’armistizio, ma il ritorno lo comprova.

Abbiamo qui la guarnigione dei castelli di Verona, ceduti quattr’ore prima dell’avviso: c’è qui il general loro Risel, e pare sieno trattenuti. Niente si sà e poche poste girano.

Il lutto universale è sommo: non si azzarda di tener aperte le botteghe, e il paese pare un deserto.

 

22 [gennaro 1801]

Moncei fa dei bei regolamenti, ma fuori delle porte rovine e saccheggi: non si sà più come vivere. Bassano requisiziona sopra di noi, e tutto collima a non saper più dove dar la testa: convien provvedere, alloggiare, spesare, la più ladra e la più ingorda truppa dell’universo: il territorio è saccheggiato, e tutti temono anche dei nostri: la disperazione è al sommo.

Il commissario regolatore ci dà una contribuzione in generi terribile: delle migliaia di scarpe, cassoni di biscotto, muli, cavalli, frugoni[=furgon] etc. Tal qualità di cose è introvabile. Ci disse che gli duole il cuore, che Vicenza è calcolata dai Francesi per un paese buono, niente fanatico, e ospitale, che han fatto di tutto per minorarci la contribuzione, ma che Verona essendo tutta il contrario, vanno a gara di caricarla in ogni proposito. Quel misero paese non vien nemmeno amato dagli stessi Austriaci.

Cosa debba esser di noi ora sempreppiù si va pensando. Furono troppo solleciti i Francesi a dirci che saremo Veneti, poi sino all’Adige ceduti all’imperatore secondo il Trattato di Campo Formido, ora non si dice più nulla, la pace par comandata dalla necessità, ma non si vede né l’armistizio stampato colle condizioni, e tutti gli andamenti son nell’oscurità la più profonda, in fondo non si comprende qualche cosa che dall’aver essi ordinati i frugoni , ordinario segno di partenza, ma chi ce ne assicura?

Venezia chi la vuol esente da tutto chi bloccata.

Non vengono corrieri nemmen da Verona, conseguenza della poca sicurezza delle strade, e del rubamento dei cavalli.

I Francesi bevono il vino a secchi, mangiano quel che pare incredibile, e rubano sino alle midolle. I Generali, e gli Uffiziali sono decisamente uguali ai soldati, e per la verità sembrano d’una razza diversa dall’altra volta. Quel che si rimarca di nuovo ancora si è la decadenza decisa dello spirito rivoluzionario ed entusiasta, non solo per riguardo a noi, ma ancora per loro medesimi.

 

23 [gennaro 1801]

Fu dichiarata impolitica la cosa di non dar da mangiare ai generali e ai soldati.

Non si si può liberare dai continui svaliggi fuori delle porte. Il descrivere il bosco di ladri in cui siamo, le requisizioni che si fanno dicendo, piangete, ridete, disperatevi, devono esser pronte, e se non v’è ci deve essere: i comandi, i sutterfugi, le terze mani, il diavolo in carne di tutto, il tramortimento, l’imperizia di tanta iniquità non è moralmente nemmen concepibile.

L’oscurità dell’avvenire si aggiunge ai nostri mali: è vero che alcune congetture fanno sperare un termine, ma chi ci accerta che non venga ciò procurato per divorarci ogni cosa con più quiete? Una delle speranze si è che l’imperatore abbia fatto un stocco in abbandonando le nostre Provincie per saziar le pretese che i Francesi avevano di soldo, e viveri, e che lacere e misere gli saranno restituite. V’è ancora la posizione geografica che pare addattata per dividere queste gran nazioni. Ma niuno conosce le vere mire di Bonaparte, né l’interesse vero di tutte le potenze, sicché tutto è possibile. Per me la Francia mi farà sempre timore, sinché sussiste com’è: mentre delle paci separate, raggirate, illusorie e fragili conducono certamente ad una guerra, e quando questa succede la Francia ha vinto: troppe cose favoriscono le sue armate, e con simili suste qualsisia nazione arriverebbe sino alle estremità del mondo.

 

24 [gennaro 1801]

Si preparano e contrattano le immense requisizioni. Il pubblico paga i pranzi dei primari Generali; le famiglie si esauriscono per il resto della truppa.

Venezia è bloccata, e niente si penetra del suo destino, né del nostro. Una sorda voce si sente che ai 14. del venturo ritorneranno gli Austriaci.

Ancora il paese non rinviene dal suo timore; le botteghe restano chiuse, e pochi vanno per le strade: sembra un deserto la nostra città, e si legge in volto d’ognuno un vero lutto.

I Patriotti stan zitti, parte per esser stati rovinati nelle loro campagne dalla gran nazione, parte per timore; e in gran numero per non venir eccitati dai Francesi, i quali son meno rivoluzionari dei soldati Tedeschi stessi. Per altro i loro piccoli discorsi girano a far credere che alla perfine saremo democratici. Quei che si chiamano aristocratici vedono realizzate le rovine che pronosticavano, sperano assai, ed esultano che resti almeno il provvisorio governo attuale.

 

25 [gennaro 1801]

Passa di qui la guarnigione di Peschiera cogli onori militari, e l’alloro. Questi poveri Tedeschi son ben dissimili dai loro nemici nel contegno: ma l’avvilimento loro è estremo: dissero che si vergognano di passar per le nostre piazze, quantunque sappiano ch’essi vinsero per valore, i nemici invece coll’arte. Dissero di ritornare tra 15 giorni con la guerra, mentre 200. milla Russi vengono in loro soccorso, di che li pregammo a non incommodarsi. Questa gente chiusa in Peschiera, e in mezzo ai Francesi nulla può sapere.

Si dice accommodate le cose con Venezia per le comunicazioni ad onta del blocco, ma si teme che verrà ancor essa visitata.

L’ala sinistra dell’armata Francese si trova tra Castelfranco, Bassano, e Vicenza: l’ala dritta nel Padovano, e la risserva a Verona. È arrivata della nuova truppa a Milano: ancora non si sà di preciso se Brune sia a Verona, o a Milano. Niente si traspira, e si consuma sino alla radice tutte le nostre sostanze.

La tristezza e la solitudine è universale, e ciò vien rimarcato dai Francesi stessi in confronto dell’altra volta. Essi accusano Brune, si vergognano, ma continuano a far lo stesso.

 

26 [gennaro 1801]

Brune vuol un incaricato di ciaschedun dipartimento per rimettere più specificatamente i suoi ordini: si cercò un soggetto che potesse far onore alla patria, e non si trovò alcuno sia per le passate peripezie democratiche, sia per capacità, e volontà che accettasse. I deputati cavarono dunque a sorte, ma l’egregio Lorenzo Tornieri si esibì ad esentare i più pusillanimi, e fece con ciò un’azione che lo ricolma di gloria quanto i suoi veraci talenti, e cara moralità.

Si principia oggi a discernere i Francesi un po’ più quieti: i passati giorni sembravano tutti dei diavoli usciti dall’Inferno, perché violenza, furia, e incontentabilità indescrivibile: ma le ruberie non cessano gran fatto.

Oggi si spera che le truppe andranno in caserme, ma si teme che quel poco territorio ch’è rimasto salvo avrà dei soldati.

Il terrore e lo smarrimento del paese non cessa, né cesserà mai. L’uomo rovinato non cura più nulla. Moncei promise troppo per mantenere quello che sarebbe necessario di disciplina. L’orrore che fà in Francesi è sommo, e le loro maniere stesse inarrivabili sono conosciute in adesso per una parola datasi per arrivare ai loro fini d’interesse e di capriccio. Non v’è più nulla che seduca neppure i loro stessi partitanti: questi sono offesi di non venir per niente curati: gli aristocratici nelle loro pene esultano di aver indovinati gli eccessi che doveva comettere la nazion francese: il popolo poi e i contadini sono esacerbati a segno dei tempi dei Vesperi Siciliani. Si dice in Toscana una gran sollevazione. Dio ci guardi da tutti gli orrori che si presentano alle volte nella nostra testa. Veramente la barbarie francese supera la naturale che hanno i Russi. La nequizia loro è ben più grande di Attila stesso che annunziava la demolizione delle città, viceversa di loro che promettono una perfida amicizia. Lo Stato Veneto solo ne forma una prova. Alimentati nelle loro miserie e debolezze, accolti con gran riguardi, mai si saziavano anche di far vedere che ancor essi lo conoscevano, e particolarmente Vicenza che fu funestata per genio e sevizie ha provato il carattere della loro ingratitudine. Si ha un bel incolparne Brune, la perfidia è troppo sistemata, e troppo evidente, e non v’è che l’italica debolezza per sostenere con pazienza l’orrore.

Li disordini oltre i svaliggi sono estremi, non v’è più sicurezza personale. Bertapelle dice, quando nacque il Redentore una stella si fece scorgere ai Re Magi; quando io vedo la prima stella corro a chiudermi in casa per salvarmi da questi Redentori.

 

27 [gennaro 1801]

I Francesi stessi ci ricercano se avremo pace o guerra. Il mistero è sommo. Le comunicazioni per Milano e altro sono incerte e rare. Il blocco di Venezia sussiste in maggior vigore. Alcune voci di guerra si fanno sentire, ma noi siamo ridotti a bramar solo del formento per vivere, senza di cui tutte le conclusioni ci divengono inutili. Pare per verità che i Francesi stessi abbiano voluto conservare la Casa d’Austria, mentre Moreau al Reno poteva spinger le cose assai, e con ciò chiuder la ritirata dell’armata d’Italia, dunque convien concludere che si farà la pace di Campo Formido. Ma il caos delle cose è grande che ne sopravvanza anche per le gran chimere.

Io credo che tutto dipenda da Bonaparte e da Pitt, il primo spiega in Francia un’autorità sovrana, ma niuno conosce il suo piano, chi sa quali circostanze si frapporranno al suo genio, e Dio sa come egli saprà impiegare li sommi talenti che niuno gli niega, ma che l’Italia per la propria esperienza riguarderà sempre con del sospetto. Pitt poi gli è un emolo eguale se non superiore. Questi uomini immensi attirano gli sguardi di tutta l’Europa. Pitt salvò sin’ora l’Inghilterra colle rovine del continente: vedremo all’appressarsi della gran lotta cosa saprà fare. Io temo che il continente servirà di bersaglio sino all’ultimo fiato, se la fortuna, e la grandezza della Francia, e il suo raggiro non minor dell’Inglese non vi si opporranno. Le basi di Pitt sono più oneste della Francia, ma le azioni degli uni e degli altri sono intieramente Macchiavelliche.

 

28 [gennaro 1801]

Si dice passato Zach da Brune: nulla si rileva: si vuol certa la pace, ma si teme un nuovo armistizio col sagrifizio di Venezia e Mantova.

Oggi San Rocco e Santa Croce furono in ballo. Si vuol distrugger tutto senza utilità, e niente basta se non cadono tutte le istituzioni religiose. Moncey mandò alla deputazione municipale a dirci che non vuol conventi ad onta delle suppliche che vengono fatte, e si dovette decretare il Seminario per caserma.

I Francesi si lagnano del poco concorso a teatro, ma tutto il mondo è dolente ed inviperito, fingono di non vedere quel che non può sfuggir certo alla loro sagacità, ma ci vuol altro che parole quando la disperazione giunge quasi all’estremo.

Nelle valli succedono delle sollevazioni per la penuria delle biade, e nelle basse si sentono dei lamenti giusti, ma anche disperati. Dio ci salvi, mentre se le cose non terminano presto, non si sà quello che potrà succedere.

 

29 [gennaro 1801]

Non bastando alla lealtà francese di saccheggiare la maggior parte del nostro territorio di farsi mantenere giornalmente colla spesa un giorno per l’altro di 60. mille lire, di svaliggiare, di non far più conoscere cosa sia sicurezza personale, vivendo capricciosamente spesati da tutte le famiglie dove sono alloggiati, cominciando dal generale sino al fantaciotto, hanno requisizionato in generi introvabili per 300. mille lire; oggi per colmo di generosità hanno ordinata la contribuzione di circa 3. millioni, e 600. mille lire. Si ha spedito Testa e Milana per far minorare quel che per il contesto delle cose la Francia e Brune non minoreranno.

Tutti i Democrati che nel 1797 non sospiravano che per la patria, ora che la vedono vicina ad annichilarsi dimostrano di quai sentimenti erano animati. Un amor proprio che viene appagato, e compensato nel solo conoscer e ricercar di essi, non è nemmen bastante a scuoterli da un letargo indegno. Veramente vien compreso che i talenti veri e pratici si trovano nella loro classe, ma vengono assai contrabilanciati dal loro mal genio.

Ricercato un Francese perché sieno essi molto diversi dall’altra volta rispose, noi siamo sempre stati quelli che ci vedete, ma avevamo un tal timore degl’Italiani, che sul principio dubitavamo di tutto, e la prima cosa era di disarmarli, ora che vi conosciamo giochiamo a carte aperte. Dio ci ajuti nel conoscere che fa gl’Italiani dei Francesi. O pace, o cangiamento di tono, mentre la disperazione non ragiona altro.

Il generale Moncey, si lagna che non si si diverti; è degno della crudeltà e leggerezza francese un tal riflesso.

 

30 [gennaro 1801]

Oggi si dice la pace fatta ai 8 del corrente, e sarà quella di Campo Formido: noi avremo in conseguenza la stazione attuale sino ai 8 di aprile tempo assai lungo per tutti i rapporti.

S’incomincia a veder gente per le strade. Vicenza non s’è più veduta tanto deserta, e così giustamente dolente, timorosa, e irritata. Non cessano però le rubarie, e un continuo mercato delle nostre spoglie.

I Francesi vestono magnificamente: son ripieni d’oro, ma non spendono, come facevano l’altra volta.

Si vive molto male, quantunque una bella invernata soleggi le nostre disgrazie.

 

31 [gennaro 1801]

Oggi si assolse il famoso Collin comandante di piazza perché protetto da Brune. In Consiglio di guerra furono Loschi e Tornieri [Lorenzo] della Deputazione, i quali ebbero un compenso che non eguagliò la paura avuta. Monzey si portò assai bene.

Venne in oggi i battaglioni della [strada] Camisana dove fecero rovine a segno che se ne depose il loro generale. A Vicenza fecero fuggire il magistrato degli alloggi, furono nel Salone [della Basilica] indiavolati a segno che per gastigo ancora nella notte si volle che partissero. Non si trovavano i loro comandanti, ma trovati che furono fecero la partenza con tal disordine e grida che vennero accompagnati alla misera Cologna [oggi Cologna Veneta] dove erano diretti dai nostri granatieri. Se ne dice arrestati alcuni Uffiziali.

Non si sa comprendere come saziata all’eccesso la loro ingordigia sieno impastati ancora di tanta cattiveria.

S’incomincierà a pagar un a conto per la contribuzione, ma le spese, i ritrovati sono eccessive e continui.

Bastian Bologna dice che presto partiranno da noi i Francesi, che saremo imperiali, che colla pace l’Imperatore verrà posto in istato di non nuocere; che l’Impero sarà disciolto, che non esisterà più la Cisalpina, mentre l’Italia è destinata agl’immensi compensi che si deve dare. Disse poi che i torbidi di Parigi sono estremi, e che non si vuole tanta autorità in Bonaparte.  

 

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Primo [febraro 1801]

I 600. soldati della Camisana tumultuarono agli alloggi, poi si misero nel salone aspettando tranquillamente la mezza notte per saccheggiar la città, come era ciò stato promesso dal loro comandante: insospettitasi la deputazione ne fece una rappresentazione a Moncey, il quale in un batter d’occhio fece metter 2000 uomini in ordine di battaglia, col comando di barricar, e far fuoco sugli ammutinati, ordinando a questi la subitanea partenza. Ciò si fece con qualche tranquillità, e ne siamo obbligati al Gen.l Moncey. Quali pericoli gravi ad ogni momenti ci sovrastano!

Testa e Milana son ritornati per la contribuzione, e non ottennero nulla, ma decantano assai.

Si vive in un disordine, in un sospetto, in una paura, in una profusione di tutto insopportabile.

Muoiono gli animali ritornati, e come salvarsi da tante disgrazie? i Giacobini stessi si chiamano ex-Giacobini: la malvagità supera l’altra.

Vanno e vengono dal Quartier generale dei generali Tedeschi, i quali come gli altri dicono pace, e nulla più: la guerra che vien fatta ai popoli non si calcola mai, e questa guerra si fà più senza l’armi che con esse.

Si pensa di beatificar Attila almeno per la sua sincerità.

La guarnigion nostra in città è un poco migliorata, ma i passaggi, le ubbriacature, il ladroneccio nel sangue, i ritrovati di nuovo conio ci fanno vivere come nei deserti dell’Affrica.

 

2 [febraro 1801]

È arrivato il tesoriere per raccogliere in 10 giorni la contribuzione. Questa sollecitudine, la pace che generalmente si vocifera, la niuna truppa spedita in territorio, una gran porzione della nostra divisione mandata a Cologna, la venuta continua di truppe da Treviso, e dirette per Verona, Vicentini, Zorzi, e Breganze con gran bauli passati senza speranze costì a Milano, fanno credere la vicina evacuazione di questi paesi. Venezia sta intangibile: ciò conferma la pace di Campoformido. La Provvidenza ci assisterà negli ultimi sorsi di questo calice amaro. Continua nel paese un tal abbattimento che sembra insuperabile.

3 [febraro 1801]

M. Picoteau mi partecipò la pace conclusa li 22 dello scorso gennaro, così alcuni espressi da Roveredo, e al Todero: gli articoli non si penetrano, ma noi sospiriamo il termine di tante calamità. Si calcola la spesa d’un millione per mese detratta la contribuzione straordinarissima. Si langue si anela il minor male, mentre per i beni l’affare è finito.

Si assaltò certo Pavan agente, e gli venne anche date delle palossate, non termina mai la nera iniquità, che ci circonda, cosa sarà ognun dice tremando? Anche un addio di simil genìa diventa riflessivo, ma convien sperare nella Provvidenza.

Si teme l’epizozia degli animali: cosa non si teme, e non si prova?

 

4 [febraro 1801]

Oggi dopo molti dibattimenti fu presa per norma la contribuzione a pagarsi la scala democratica. Sembra che tutto collimi alla distruzione, e ai metodi per arrivarvi. Neppur l’aristocrazia stessa non conosce altre strade, né altri uomini, che quelli che professano il genio francese. A me sembra un gran riflesso.

Si continua a rubar tabarri, e orologi, e tutte le strade sono quasi deserte.

Abbiamo la pace, ma siamo circondati da un gran mistero, da un gran timore e da dei gran pericoli.

Moncey vive solitario come faceva Joubert, e si dice che suol dire: non voglio che si dica ch’io vivo coi partigiani degli Austriaci; mentre pare che sia tenuto nell’armata per aristocratico. Vicenza poi non declina né può declinare dal suo terrore, e malcontentamento. Ciò dispiace ai Francesi, e ciò irrita maggiormente.

 

5 [febraro 1801]

Gran giro, e raggiro dei commissari, e gran minaccie per riscuotere del soldo della contribuzione in 24 ore: come si farà, e cosa succederà?

Nulla si traspira della pace, e si vive tremando.

I giorni son belli: gran passeggio a Monte, dove si fa vedere il mondo galante, ma tanto questo, quanto gli Uffiziali non si danno confidenza. Ma se ciò continua si cederà. I Francesi paiono tutti qui per farsi uno stato: sono avidi, avari, barbari, e truci, se però parlano, la lingua e il talento loro proprio forma ancora qualche illusione, e ciò non è poco.

Oggi si ha fucilato il Francese che ha assaltato Pavan agente con gran sforzo d’esemplarità.

Muoiono molti animali, e tutte le disgrazie si offrono a vicenda alla nostra mente. Gran vita!

 

6 [febraro 1801]

Oggi si ha cominciato termine 24. ore a pagare l’esorbitante contribuzione. Le minaccie, e l’esibizione della forza armata hanno incusso del terrore. Mai più la camera fiscale ha veduto tanto soldo in una volta; e il tesoriere che lo ricevé disse tre belle serate come questa voi mi troverete buono.

Gran sussurro nei medi possidenti, e nei sempre torbidi mercanti per non aver preso il metodo democratico del 50 per 100 sui ricchi per i primi; e i secondi per esservi inclusi protestando ch’essi non guadagnano che il 6 per 100 dei loro negozi. I democratici inviperiti della loro esclusione da tutti i governi possibili cominciano a dir bestialità. Dissero che i Francesi non diedero il sacco al territorio, ma che fu una conseguenza di guerra, che i deputati non sanno trattarli, che converrebbe lasciarli saccheggiar la città, mentre i Francesi si sfogherebbero sui ricchi, e la popolazione verrebbe salvata, e che per salvar 14 bricconi si pesa sui minimi contribuenti, e mille altre invettive personali degni della rabbia di una tigre, che Dio voglia tenere inceppata.

Per colmo di conforto ora si vocifera che la pace non è certa, ma che v’è un armistizio colla cessione di Mantova e di Venezia.

 

7 [febraro 1801]

Si va pagando tesori, e questi costano sospiri, e stocchi infiniti: tutto va al diavolo senza riserva. I Francesi paiono raddolciti, ma Dio sà cosa meditano di nuovo per distruggerci.

Oggi si dice che saremo imperiali, poi Veneziani, poi alleanze, e cose romanzesche, tutto è possibile pur troppo.

Da Venezia chi scrive tranquillità, chi burrasca.

Mantova si dice già ceduta, ma non si ha riscontri.

Si vive assai male, tormentati, esauriti, incerti di tutto.

I passi sono aperti, ma le lettere rare.

L’epizozia si estende assai, e con ciò vediamo tolte le nostre speranze sino dalla radice.

Cosa che consoli non sembra immaginabile, neppur per l’avvenire.

I Patriotti collimano ad accertarci che amerebbero ancora delle disgrazie maggiori se fosse possibile, ma in ciò i Francesi li castigano bene per loro tormento.

 

8 [febraro 1801]

Se i Francesi affrettano il biscotto, i frugoni, e fanno partire i loro ammalati, ciò indica del movimento.

Si dice ai 6. ceduta Mantova atteso un armistizio di 30 giorni foriere di pace da Luneville.

Di Venezia se ne sente come piace a tutti i partiti, ma sembra che attesa la pace di Campo Formido rimarrà illesa.

Quì intanto non se ne può più, e si teme persin il scioglimento che deve decidere.

 

9 [febraro 1801]

Oggi una minacciosa lettera di Brune incombe il total pagamento della contribuzione in 5 giorni: non si ha raccolto che un terzo, e la città di Vicenza si vede a proporzione aggravata più di Padova, di Bassano etc. oltre la rovina particolar del suo territorio.

Lorenzo Tornieri scrive da Milano feste e balli, ma dice che i bisogni dell’Armata francese sono estremi, e che teme i gran disastri che ne potrebbero derivare.

Da Venezia si scrive: c’è la pace, ma il blocco si stringe; c’è la pace, ma manca la polenta; c’è la pace, ma si vive in angustie.

Non è descrivibile la nostra situazione. Ogni giorno siamo il bersaglio di pericoli, e di buone nuove che non si sostengono. Non v’è più né generi, né danari, ma Brune comanda, i commissari esigono, si fa dei contratti diabolici: uno punge, l’altro unge, ma si termina col ricavare il possibile. Muojono gli animali, il territorio è desolato e pauroso, la città vive tremando, non c’è sicurezza né personale né di proprietà: vi sono i Patriotti che si sfogano sempre col danno del proprio paese, c’è la mancanza di talenti, e di mezzi, gli alloggi, gli andrivieni, e non c’è che la leggerezza che ci faccia passar il tempo men male.

 

10 [febraro 1801]

Questa notte arrivò altra lettera furibonda di Brune che intimò il pagamento in 10 ore: lo smarrimento fu estremo: i considerati ricchi, che fuori di due tutti han avuto bisogno di prender a prestito, si tassarono al malizioso grido comune del 50 per 100, non arrivando però a contentar la rabbiosa invidia. Si mandò per le ville dei gentiluomini, e dei soldati a riscuotere. Aurelio Todero si espresse fra i mercanti alla minaccia del saccheggio con gran gelido che lo diano, espressione imprudente, e senza riflesso alla rovina che una tal disgrazia apporterebbe.

In quest’oggi si ha contato ai Francesi 400. mille lire.

Il solo rimorso è di aver perduti 8 giorni nella facitura del piano. Gran raffinatezza nei Francesi per non minorare un così esorbitante carico.

Si dice fatta la pace, e che i Francesi partiranno ai 8 di marzo. La cession di Mantova non è sicura. Par che Venezia debba restar com’è.

Niente di uffiziale si sente mai, e sembra la diplomazia Francese eguale agli altri gabinetti.

 

11 [febraro 1801]

Oggi si vuol una gulia in Campo Marzo per i soldati morti: il Francese deve costare ai popoli anche morto.

Si paga e si affoga di danaro i commissari, ma non cessano le requisizioni più per ladrerie che per bisogni.

Si vive nella più perfetta inscienza di tutto, fuori della propria rovina: si sostiene però la pace, ma nulla d’ufficiale. Il Carnovale s’è convertito in una luttuosa quaresima, la qual Dio sà quanto si estenderà, mentre non v’è finanze che bastino a tante e così immense spese.

 

12 [febraro 1801]

Moncey vuol villeggiare a Montecchio Maggiore: questi moderni Democrati hanno tutti i cappricci del lusso, e sempre opprimono il popolo che vantano di sollevare.

Non si parla di pace che vagamente, ma l’armistizio è certo sino ai 15 di marzo.

Noi rifondiamo tutto a questi irrequieti conquistatori, e non si vive mai in quiete.

Il paese è deserto, tetro, e rovinato, e ogni possidente è desolato. I Patriotti tacciono, e i Francesi mangiano: però non osano di ricercar né feste, né balli, pensano solo all’interesse, e capiscono tutto, la rovina è troppo decisa. Vi sono alcuni Uffiziali che non sortono di casa per non arrossire di appartenere a una tal armata.

 

13 [febraro 1801]

Si paga le 600, le 400, le 200 milla lire al giorno per la contribuzione, e i Francesi non sono contenti quando la somma non è grande.

I Veneti sono restii per calcolo. È venuta una mezza brigata da Cittadella, e quella di Cologna va a Peschiera. Si vuole che l’imperatore non cedi Mantova che al momento che i Francesi evacueranno lo Stato Veneto. Niente d’uffiziale però si traspira in nessun rapporto.

 

14 [febraro 1801]

Oggi s’è fatta la festa funeraria in Campo Marzo, volendo un catafalco e non una gulia. La comparsa fu bella e magnifica, ma il popolo la riguardò con quell’occhio che si rimira dei distruttori trionfanti. Essi onorano i morti, e strappazzano sempre i vivi, e non si curano di nulla, purché si ricavi utilità, e denaro.

Si grida assai della Commissione che ha fatto il piano dell’imprestito fruttante al 5 per cento, riguardando più alla fisonomia dinarosa che ad altro: esentando ingiustamente alcuni, e tassando poco degli altri secondo le passioni di cui alcuni furono animati. Si grida: adesso si conosce che i democratici erano galantuomini; ma convien riflettere che qualunque piano che ricerchi denari sarà sempre odioso, che la spesa di una guerra democratica è insostenibile senza le leggi democratiche di sciogliere i fideicommissi, e di tassare i supposti ricchi. Per quanto riguarda alla Municipalità del 1797 convien riflettere quanto le esigenze Francesi furon minori, quanta abbondanza regnava: non ci fu contribuzione, non saccheggio di territorio, e non progressivi anni scorsi, e onerosi come adesso. Gran ragioni che le passioni esaltate non vogliono concedere.

Miollis disse che ai 5 di marzo si pubblicherà la pace, ma intanto cosa si farà?

 

15 [febraro 1801]

Si ha pagata più della metà della contribuzione, come ne fece moto Brune col Tornieri. Moncey gli scrisse una bella lettera dicendo che Vicenza ha fatto più degli altri paesi, ch’è esausta, che di San Marco. Corner venuto da Parigi dice che non si traspira nulla: pare però che prevalga il sistema russo, ma lo statu quo non sembra più possibile.

Domani parte l’artiglieria, ma il resto pare immobile. Il deputato grasso Tornieri scrive delle belle lusinghe per la minorazione della contribuzione, ma dice che i commissari diconon [sic] spesso che l’erario dell’armata è vuoto.

Noi viviamo malamente alla giornata, e le dicerie cittadinesche non collimano a cercar il sollievo in parte del nostro attual civico governo. Pare che i Francesi abbiano posto nel crociuolo tutti gli uomini per farli conoscere ed ammattire, ed essi o per la malizia o per l’imperizia approfittar di tutto, e spogliar l’universo.

 

19 [febraro 1801]

Sempreppiù s’imbrogliano le idee del nostro destino. Ora non si vuole che sia conchiusa la pace; ma corre l’armistizio di 30 giorni: è partita dell’artiglieria. Domani arriva 6000. uomini della guarnigione di Mantova, alcuni Francesi dicono vedrete i vostri futuri padroni, ma si va discorrendo di Repubblica Veneta del 400.

Si si consuma, non si vede alcun termine, e ogni giorno si fà dei nuovi castelli in aria.

Si ha stampato l’imprestito volontario e non sforzato: le summe necessarie sono immense, non v’è più né soldo, né modi, ma però si va questionando anche sui epiteti.

Venezia stà soda, ma quei signori fremono pei loro pesi in terraferma, e tardamente suppliscono, ma non è più il tempo che Berta filava.

È deciso che la guarnigione di Mantova resterà nella città per non funestare maggiormente il territorio coi tagli delle piante.

 

20 [febraro 1801]

Arriva la guarnigione di Mantova lorda dalle strade, e taciturna. Gran spettacoli compassionevoli a noi si presenta tutti i giorni.

Si sente sollevazioni e inquietudini per la mancanza di pane e sorgo. I Francesi guazzano, le rissorse mancano, e se Dio non provvede il male si fa estremo.

Si vuol l’intero della contribuzione con minaccie e fretta tale che indica la crudeltà Francese, e forse una vicina partenza.

Pagar i Francesi, supplir all’immensità dei pesi della cassa nazionale, sentir le miserie, e la povertà universale, e non veder un raggio di prosperità futura, non esser sicuri né di vita né di robba, formano l’infelicità del viver nostro.

Partono dei Francesi, e ne vengono: nulla si può capire.

 

21 [febraro 1801]

Questa mattina si fece una bella parata dai Francesi per i Tedeschi, i quali vi affluirono: questi non sanno né dicono alcuna nuova, ma sul finire della parata arrivò staffette al generale Moncey colla notizia della pace sottoscritta a Luneville li 20 piovoso. Questa da all’imperatore questi Stati: Verona bipartita colla Cisalpina, e Parma inclusa a questa. Faccia la Provvidenza che questa possa durar e sussistere, e ci sia tutti quei beni che ci sono e ci diventano necessari. I Francesi e i Tedeschi brillavano d’una tal notizia. Moncey per la prima volta si portò al teatro. Si vocifera che in 30 giorni evacueranno.

Si dice arrivati a Venezia 6 bastimenti di biada mandati dall’imperatore. Siamo ridotti a non desiderare che del pane, mentre l’affare va all’estremo.

Si và cercando un imprestito volontario, le esigenze sono violente, e non potendo esser violenti i mezzi per sodisfarle si vive smaniosamente.

 

22 [febraro 1801]

Gran inquietudine per l’intero della contribuzione: il ribasso è tenue: le requisizioni continue.

Si dice che i Francesi ad onta della pace si fermeranno un mese.

Non è descrivibile la noja e la smania della nostra situazione, e nemmeno il termine consola, mentre la vicinanza della Cisalpina, e le variazioni del tempo che viviamo sono riflessibili e facili.

Si sente sollevazione continue per mancanza di pane: tutto è all’estremo moralmente, e fisicamente.

Adesso Moncey vuole andar ad abitar la Rotonda: dice delle belle parole assai, ma è Francese come gli altri.

Oggi termina di passare la guarnigion di Mantova benissimo trattata dai Francesi a nostre spese. Questa si lagna che dovendo i Tedeschi tornare, loro si faccia fare tanti viaggi. Misera e poi misera Italia finché sarà dominata dai stranieri. L’uomo ragionevole non scorge in essi che il più e il meno, ma in fondo son tutti sanguisughe, né simpatizzeranno mai di carattere con noi. Ma la miseria dei tempi ha sin prodotto il desiderio del meno male.

I democratici sono storditi di una pace che li fa star lontani 30 miglia dal loro desiderio. Gli aristocratici paurosi che un sì debole spazio possa renderli tranquilli. Il popolo incerto se il pane sarà concesso alla sua fame, e se fia possibile che la tranquillità debba una volta regnar sopra la terra.

 

23 [febraro 1801]

Il commissario regolatore du Bar ha minorato la contribuzione di 600.. milla franchi col regalo per averla ottenuta da Brune di 100 mille franchi, e colla certezza che saranno commutate in generi di nuove requisizioni, che attesa la pace più non si potrebbero fare. Tale è sempre la generosità della gran nazione.

Giovedì a teatro illuminato si pubblicherà la pace.

Lettera di Udine porta che Bonaparte regali in particolar suo dominio Mantova e Verona all’arciduca Carlo. Tutto è possibile, ma non par ragionevole.

Gli Uffiziali Francesi dicono: se Bonaparte è repubblicano viva Bonaparte: se Bonaparte vuol esser Cesare viva Bruto. Credo che i Giacobini lo facciano dire ai Francesi. Il mondo sospira solo la tranquillità, e la fortuna e il genio sanno creare delle cose incredibili.

I Tedeschi in Mantova non ebbero che 2. ore prima l’ordine di cederla, e di evacuarla. Si può immaginare l’universale sorpresa. Invitati i Mantovani si diedero a desiderare e festeggiare i Francesi, ma appena giunti questi, l’ordine d’una illuminazione della città, trattamenti ai generali, e 6. millioni commutarono tutta la gioia in un immenso lutto. Belle lezioni, le quali per non si sa qual destino riescono sempre nuove ad onta della più trista esperienza.

Si dice che presentatosi l’arciduca Carlo all’imperatrice dopo concluso l’armistizio; questa lo guardò appena, e andò subito al cembalo a sonargli il ça irà Francese.

 

24 [febraro 1801]

Questa mattina si seppelì un uffiziale in Duomo accompagnato da tutto lo Stato Maggiore. Si vede tutto, e le contradizioni sono all’ordine del giorno.

Si sente gran insurrezioni a Barbaran, Marostica etc.

La necessità è estrema, ma la malizia è maggiore, mentre non contenti di biada si spoglia di tutto. Converrebbe che i Francesi sollecitassero a dar alcuni esempi necessari, mentre il cambiamento e la venuta dei tardigradi e indolenti Austriaci fa tremare.

Si sente da alcune lettere che in Verona c’è una vera contaminazione per il suo destino, e per la divisione della sua città e territorio. Si dice che ciò non sussisterà, ma il male è sempre durato.

Disse Moncey: dopo la pace voi siete Austriaci, e noi non siamo più qui che con un viglietto d’alloggio. Solite frasi e soliti fatti con l’aggiunta dell’insulto.

Si dice che domani arriverà una brigata da Treviso, ciò indica un utile movimento.

Sono stata a vedere il consiglio di guerra: gran decenza, grandi talenti, e veramente si può dire che il Francese è un fenomeno in tutti i generi.

La bottega [da caffè] di Pigozzo è chiusa per gli orrori uffizialeschi.

Il paese è ancora tramortito, e non sanno sortir dalla paura nemmeno i più celebri Panegiristi.

Il governo è oppresso da requisizioni, e profitti continui: non si può aver idea della furberia e della raffinatezza della gran nazione.

 

25 [febraro 1801]

Il territorio muore da fame, e qui si fa baldoria, e diversi preparativi per festeggiar domani la pace.

È arrivata una brigata che alloggia nelle case, e domani se ne attende un’altra, che riceverà 30 soldi a testa invece di doppia razione, attesa la pace, come pure li 5000. soldati stazionati qui. Tutto ricade sopra di noi.

Si pone una tassa sulle norme del campatico: niente basta per una tal voragine.

Si crede che ai 10 del venturo i Francesi partiranno. Si vocifera un’insurrezione in Piemonte.

Dimani vi sarà un gran cannonamento, tutta la truppa in Campo Marzo per annunziargli la pace. Un pranzo da Moncey di 70. coperte, e teatro illuminato. Gran neutralità, guerre, armistizi, e paci per noi! tutto ci riuscì fatale sin’ora.

 

26 [febraro 1801]

Bella funzione di pace in Campo Marzo e in Duomo. I Francesi brillanti e magnifici, gran ulivi, quantità di donne a vederli, ma gran tristezza generale. Moncey pubblicò la pace, e nel legger gli articoli fece con preventivo concerto batter i tamburi, e con ciò tutti gridarono Vive la paix, Vive la Republique, e fu finita. Questa pace forma il soggetto del discorso, non si vuol crederla che momentanea, né quale: fu solo letta nel foglio di Milano. Altri dettagli non s’ebbe giammai. Ma a me sembra certa e tale come se ne ha permessa la stampa, e non vorrei altri cangiamenti calcolandoli fatali.

Il pranzo del generale Moncey fu veramente magnifico nella Sala Palladiana del conte Orazio Porto, con tutte le nostre cariche: si passò indi al teatro, in cui riuscì penoso l’ingresso: si cantò una cattiva Merope di lungo duol. Berlendis suonò l’oboè, ma più di tutto i nostri soldati gustarono la ça ira.

La nostra divisione felice di veder dame disse: noi abbiamo a Vicenza diviso la tristezza di cui fu oppresso il generale Moncey, il quale sia per la malattia o altro sembra un Young.

La brigata partita questa mattina ebbe 30 soldi per testa come il resto della truppa. Questa festività ci costa più di 30 mille lire.

Pare che ci sia un gran movimento: si vuol che sopra Bassano ci siano i Tedeschi, e che qui si andrà scemando insensibilmente ed evacuando.

Mai non si parla degli articoli della pace, sicché se ne dice assai, ma quelli che furono impressi a Milano si effettueranno.

Si conta sussurri in Francia e mille cose, ma già questi svaniranno al solito. Vicenza può contare che non si può stabilire una pace senza che le truppe Francesi la rodano. Preghiamo il Cielo a far finalmente cessare un tal flagello, finito il quale si vivrà come si potrà, ma si sarà tranquilli. Tutto si accomoda colla pace, ma con la guerra tutto si funesta, tutto si distrugge, e non si crea mai nulla.

 

27 [febraro 1801]

Dai più non si vuol creder gli articoli della pace, mentre né da Parigi né da Vienna vengon scritti uffizialmente. Ma la modalità della Pace di Campo Formio non si seppe che dal foglio di Milano come questa volta, e per gli articoli segreti, che dovevano esser vantaggiosi, ci volle una guerra accanita che ci condusse alle calamità in cui siamo. Per i posteriori cangiamenti non so come giudiziosamente sperarli buoni. Questo è il secolo delle variazioni, e fin che non si conosce appieno i piani di Bonaparte o della Francia si deve tremare. L’andamento delle cose è totalmente nuovo, l’acquietare sulle traccie antiche le passioni moderne mi pare impossibile. La Francia è vero non è più Republica che di nome: Bonaparte è il maggior sovrano che abbia esistito: lo spirito pubblico si và moderando nei suoi entusiasmi: si rispetta la religione, si esercita con atti pubblici, si tolera dei rè, ma le paci sono separate, e fatte in modo da poter romperle con vantaggio. Si ha la guerra con l’Inghilterra, dei progetti sul Turco, chi sà come le cose termineranno? Credo moralmente impossibile che si possa giudicarlo.

Moncey ha insinuato di far poner sul foglio la giornata di ieri: il pranzo che diede fu superbo. Il primo brindisi con entusiasmo lo fece egli all’ospitalità, e urbanità vicentina. Sembrava che i Francesi a gara si levassero la sopraveste per noi, tanto dolci, obbliganti, e gentili furono le loro maniere; ma non poterono far dimenticare che ci rosero fin sull’osso, e che le loro maniere stesse non sono che un’impostura, e un assassinio di più.

Arrivarono delle brigate, e si attende la divisione Delmas. Il movimento è sensibile, ma la total partenza oscura.

 

28 [febraro 1801]

Le insurrezioni per la fame continuano. Si formano a truppe di 300, e minacciano i villaggi, prendono le biade, e saccheggiano: i maliziosi s’uniscono agl’indigenti, però fu necessario che 50. o 60. Francesi si portino a Schio, Thiene, Arzignano ec.

Si dice che venghino ora demolite tutte le fortificazioni, i castelli di Verona, e anche i bastioni di Padova; se in Francia si facesse egualmente la cosa non sarebbe tanto umiliante.

Ecco terminato il mese, e non si spera la partenza che ai 20 del venturo: gran giorni eterni!

A Verona i Francesi han voluto formar il Consiglio per riscuoter la contribuzione, e l’affar terminò col chiuder tutti in arresto.

 

 

 

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Primo [marzo 1801]

I birri hanno condotto 6. insorgenti tutti ben vestiti, i quali provano la malizia col pretesto della fame.

Moncey va alla Rotonda, e si fa sin la requisizione di lepri vivi.

Lorenzo Tornieri ritornato oggi da Milano dice che i Francesi lo riguardarono con distinzione e non si finiva di lodare la nostra misera città e per la sollecitudine delle riscossioni, e per non esservi mai stato alcun motivo di reclamo.

 

2 [marzo 1801]

Arrivano 200 uffiziali francesi ch’erano prigionieri in Ungheria per il cambio. Il Trattato di pace dei 9 febbraro a Luneville si va ponendo in perfetta esecuzione. Prima dei 40 giorni si deve veder evacuati questi paesi. Da Cologna è partita quella brigata in gran silenzio e senza il menomo disordine. Si spedisce il conte Porto a Venezia per intendersela col governo austriaco di vari articoli, e particolarmente quello delle sussistenze.

Dio voglia benedire questi ultimi pesanti momenti, noi temiamo le nostre insurrezioni: la fame, e la malizia è grande. Si dice che a Padova sieno arrivati i commissari austriaci coll’ordine di far desistere la irragionevole demolizione di quei bastioni.

Si vuol il Quartier generale di Bellegarde in Gorizia. Oggi arriva gli articoli uffiziali della pace ugualissimi a quelli del foglio di Milano, fatti stampare in lingua francese fatti stampare dal gen.c  a Padova.

Non v’è più dubbio per essi, ma da Vicenza nulla si penetra. La pace è fatta e in miglior forme di quella di Campo Formio: noi siamo attaccati ad un filo, il qual se non si rompe, noi possiamo sperare almeno quella tranquillità che il nostro pensiero non usava più di lusingarsi. La situazione di Verona è compassionevole, ma la Provvidenza che sa girare gli uomini, e la cose a suo piacere potrà rivogliere in bene quel che agli occhi nostri par inesiguibile.

 

3 [marzo 1801]

Moncey volle espressamente che la Polizia invitasse in suo nome il nostro Vescovo a ritornare costì in prova di rispetto ec. Non si sà cosa penserà di fare.

Si crede sempre l’arrivo dei commissari austriaci, ma non si veggono. I Francesi fanno bagaglio, e si vede gran carrette di denaro, e molte cose preziose in vendita per poco prezzo, le nostre spoglie son dilapidate del dominio militare.

Si vede di già scemata la truppa, ma si teme il passaggio della division Delmas di Treviso, e quella di Suchet di Padova. Si si lusinga che vadino per Legnago, ma Vicenza è troppo sfortunata.

Si dice che il Gran Duca di Toscana verrà a governar i nostri stati. Non si sa più cosa desiderarsi in tal proposito, non si trama in fondo che pane e quiete.

Mainoni è andato a Lonigo per gl’insorgenti: affare che da molta pena e pensiero. Non vi son biade, e quel ch’è peggio non v’è più numerario per acquistarne.

Si ha fatto un quadro di millioni spesi per i Francesi. Tuvenel l’ha spedito a Parigi a Taleyrand, che non avrà tempo, né interesse di leggerlo, e noi lo faremo vedere ai Tedeschi, che non lo crederanno, e vi sorpasseranno sopra. Gran destino di queste floride e felici contrade! dopo tante peripezie si cadde da un abisso in l’altro, e la memoria del veneto governo rimarrà indelebile e cara a chiunque è galantuomo.

 

4 [marzo 1801]

Intanto oggi è sbarcata della biada. Il Ciel provvederà per il resto.

Oggi poi gran vociferazioni di guerra. Gli aristocratici malcontenti di un limite tanto vicino dicono che ciò non può stare, e portano per prova il silenzio di Vienna sugli articoli della pace. I democratici certi della vittoria se si fa la guerra la vorrebbero sempre per republicanizzare tutto il mondo. I prigionieri francesi venuti dall’Ungheria al cambio dicono che si rinnoverà la guerra, che si fa dei gran preparativi, e che i Tedeschi hanno abbandonata Palma spogliandola di cannoni etc... Qui si sostiene che si rinserra il blocco a Venezia, che i Francesi non danno segno di partenza, che si vede carriaggi e gente a ritornare a Treviso, e ch’è venuta una requisizione di mille razioni di pane per Montebello per mille Francesi, che refluiscono di nuovo a questa parte. Quanto a me credo che tutto ciò indichi le solite dicerie che si dicevano tra la Pace di Campo-Formio, e la sua esecuzione. La pace è fatta, la Francia ne proclama in faccia dell’universo gli articoli: forse Vienna non li vorrà noti se non dopo l’esecuzione, e avrà altre viste. Osservo un scemamento notabile di Francesi, un certo allestimento di partenza, il cambio dei prigionieri, e la solita studiata moderazione che sogliono aver sempre i Francesi quando sono satolli di numerario e di tutto. Moncey va alla caccia alla Rotonda, o alla Costa.[Costabissara]

Sono arrivati due commissari che volevano l’intero della contribuzione ad onta del rescritto di Brune: questi birbanti rimasero confusi, ma il tentativo è del conio francese.

Il caos è grande, le lusinghe pajono facili; ma in fatto si perde quasi la tramontana, mentre il movimento generale di opinione, e di bisogni non è saziabile, e questi partaggi, cambi, e impastamenti formano un mosaico in teoria, ma credo che niuno possa calcolarne le conseguenze. La forza è all’ordine del giorno, ma una tal moda può divenir universale.

 

5 [marzo 1801]

I 1000. Francesi arrivati vanno a raggiunger la loro divisione a Bassano.

Da Vienna si sentono uffizialmente gli articoli della di già detta pace.

Sono ordinati dei collari, e 4 ne vuol di belli Moncey.

Non si sa quando credere all’evacuazione francese: pare che 40 giorni dopo le ratifiche debba al certo succedere.

Molti Uffiziali partono, ma il solito anderivieni confonde le spezie.

Qui si tracanna fra i soldati e vino e sussistenze, e numerario, e li nostri poveri muojono di fame.

 

6 [marzo 1801]

I 1000 Francesi giunti da Verona per fallo di comando dovettero ritrocedervi: così si ha mangiato 7. giorni in viaggio, e si commise mille disordini.

Schio è assalito dai insorgenti venuti dalla montagna: vi si spedì 50 Francesi.

Il commissario Dal Bon disse ai deputati che fra 10. giorni i Francesi partiranno; che partecipata la partenza tutte le requisizioni verranno pagate a dinaro sonante. Tutti credono che la partenza verrà partecipata dopo un’ora che sarà eseguita. Gran cupidigia, gran nequizie, e grandi insulti.

Gran discorso su questa pace creduta da chi momentanea, da chi eterna, da chi misteriosa, da chi comandata: e mille garbulgi per chi conosce che in tali tempi la verità resta nel fondo del pozzo. Da Udine vien scritto, che Vienna o sia l’Austria non si saprà al fin dei conti se sarà stata vincitrice o vinta durante una così fatal guerra che sarà la Bosnia, la Slesia, l’intero Stato Veneto e il territorio mantovano.

Da Milano poi si scrive il Velo è squarciato: l’Italia sarà libera: non si lascia ai sovrani che alcuni stati in pegno sinché la conquista della Turchia saziando tutte le potenze farà cedere alla libertà republicana la bella Italia. Gli avvenimenti decideranno.

 

7 [marzo 1801]

Arriva 2000 uomini da Padova, e i 1000 che alternano sulla strada di Verona si dice che ci ritornano a favorire per Bassano. Si teme anche la divisione di Treviso, infine sino ai 19 che si dice ch’evacueranno si deve aspettasri tutto il moto che sanno aver i Francesi. Gran spese! non si conosce più i centinaja, ma i millioni. Qui abbiamo tre mille uomini, ma i commissari, i sotto commissari e tutte le astuzie del diavolo non lasciano mai stare d’angarie e soffismi.

Si spera che i Tedeschi arriveranno qui avanti che partano i Francesi, e avremo il bene d’una salvezza con tal studiata promiscuità. Sarà un bel vedere queste rapaci nazioni a lasciare e gherbire questo recente stato ridotto a desiderar per necessità la loro presenza.

 

8 [marzo 1801]

Si fa esercizi ogni giorno sul salizà dal Trento, e oggi fu fatto a foco con gran stramberia.

Ogni giorno Moncey va alla caccia. Gran anderivieni di Francesi, e sempre con danni e ruberie.

Deve arrivar le barche delle biade, ma i Francesi le fermano ad ogni passo, ed esigono del denaro per liberarle, e ancor non giungono. Si vuole che anche i Francesi acquistino biade, questo sempre più ci precipita.

I capi delle insurrezioni furono presi, e con ciò si evita i saccheggi, ma la povertà è estrema, e la mancanza di pane visibile.

 

9 [marzo 1801]

Nel mentre che soddisfando agl’immensi pesi passati e presenti si viveva tranquilli senz’altre angarie di Brune arriva il commissario Dubar intavolando altre estorsioni. Veramente la nazion francese è unica per la mala fede, e si potrà dire senza essere contradetti che la guerra presente e la politica hanno un genere di perfidia, di nequizia, e di orrore per cui mancano e penne e lingue per descriverla.

Ora s’intima di abbatter le misere mura di Vicenza. Legge crudele d’una dittatura corsa, per cui il significato mi fa più spezie dell’esecuzione stessa. Gran Dio! a quali catastrofi, a quali vicende, a quali umiliazioni si vediamo il bersaglio. Dove andrà a terminare un tal giro di distruzione. Dio solo lo sa.

 

10 [marzo 1801]

Gran cambiamento di generali: Brune deve andar a Parigi per solennizar la pace per esser secondo console. Il nostro Moncey sarà Generale in capo, e ricerca una carrozza inglese per la partenza. Questi Francesi sembrano dei miserabili; a cui manca tutto, ma le sostanze dei popoli non bastano a saziare la loro violenza. È arrivato il generale Garzan da Treviso, e questo lo rimpiazzerà da noi. Venne dunque in un lacero carrozzino, assai sdrucito di vestiario: poveri noi tantoppiù che la di lui fama fa temere. Fu ciò preso in sbaglio.

Il commissario Dubar diede la cannonata che Brune partendo da Milano, vedendo i bisogni dell’insaziabile armata francese gli fece un rescritto di ricercar da Vicenza l’intero della contribuzione, o altrettanto con altri titoli. Qui minacciò, intrigò, diede l’esempio di Verona, di cui 60 individui ricchi che avevano pagato furono posti in vergognoso arresto, finalmente ingiunse la somma di 600 mille lire in soldo, e quasi 300 mille in panni. Ma la deputazione esausta e impaurita riccorse a Moncey (che ora dimora alla Rotonda) il quale come General in capo si assunse di favorirci, e lo potrebbe, ma i Francesi son tutti d’una pasta.

Domani arriveranno i guastatori per guastarci la borsa con qualche nuova proposizione, mentre le mura di Vicenza ognuno sa cosa sono. I conventi e altri edifici si dicono che esborsino zecchini per salvarsi. Gran pretesti, gran rovine, e gran durata sin al  momento sapremo ogni giorno qualche nuovo raffinamento per ricavar danaro e quiete.

 

11 [marzo 1801]

Moncey in carrozza con tutta la truppa sull’armi, e in gran pompa fece partenza per Milano. Egli si comportò colla deputazione con una gentilezza estrema, volle scritti i nomi del Losco, e dell’Anguissola per lo scrivere direttamente, ad essi lesse una lettera scritta al general Garzan che lo rimpiazzerà, in cui si esprime che la città di Vicenza ha sofferti saccheggi e rovine, che s’è adattate esemplarmente a tutti i pesi; ch’egli ha cercato di diminuire la sua disgrazia, e ch’è sua intenzione che lui debba parimenti far lo stesso, e che lo saprà. Circa poi al vertente esborso ch’esigeva Dubar minorò egli 140 mille franchi, e promise di esserci favorevole in Milano. Si fa male, si fa bene, e si opprime, e gabba l’universo a più potere.

Moncey che operò così col pubblico fu ingratissimo al suo padron di casa conte Porto, non lo salutò prima di partire, non ricercò di lui, e il suo ajutante s’infierì per essergli detto che mancava della robba.

Non si sa precisamente quando partano i Francesi: a Parigi si festeggia la pace per 5 o 6 giorni.

 

12 [marzo 1801]

Si dice che i Tedeschi abbiano passata la Livenza, e si dice che da Venezia verra la guarnigione d’Ancona col generale in capo Hoenzollern. Frattanto e generali e soldati francesi vanno a veder Venezia, e si vuole un imbarco per Ragun o altro di costoro.

Qui consegnerà la piazza Mainoni, e saremo felici se schiveremo Gazan.

Intanto l’imbroglio delle angarie, dei pretesi e realizzati esborsi fanno impazzire i più saggi, e rovinare all’eccesso queste di già esauste contrade. Contuttociò la malvaggità non è sazia, e si vorrebbe veder consunti i pretesi ricchi. Questa è la malattia anche incurabile del tempo, e da ciò proviene le ciarle e gli orrori che già si dice dei nostri poveri deputati. Si esagera la loro titubanza, le loro cattive misure, il pessimo ministero. Ma dei Francesi, di cui si dovrebbe esser esacerbati non se ne fa parola. Se i giacobini avessero comandato, povere sostanze pubbliche e private.

Frattanto noi vediamo anche dopo firmata la pace gran requisizioni, incertezza di vicina evacuazione, e cader delle mure che indicano un vero strapazzo. Il giro delle cose fa spezie assai.

Alcuni uffiziali dicono la [Repubblique française n’a plus che l’ecorce]. Bel tratto che proferito indica corso, regime di corsi, e nome solo di Repubblica.

Brune che fu stampatore infelice vien delineato [s’il eut en un bon caractere, il eut éte imprimeur].

Abbiamo qui anche il Pulcinella francese molto buono.

Dalla Francia si scaccia gl’Italiani anti-Bonaparte, questi vengono lodati e biasimati dai Cisalpini, ma certo non impiegati. I Cisalpini sono repubblicani feroci, ma odiano i Francesi, e i Francesi li disprezzano a voce, ma li temono in fatto.

Dio non voglia che l’Italia non faccia il suo corso rivoluzionario, certo il lievito è più feroce di quello dei Francesi. È vero che attualmente il militare Cisalpino è composto della maggior feccia italiana. Ma quali talenti, qual valore, qual fermezza? s’intorbida troppo l’acqua, e i Francesi di già discernono che l’italico valor non è ancor spento.

 

13 [marzo 1801]

Oggi si cominciò a batter le mura, e si faranno mine per sollecitare.

Hanno cominciato a partire gli ospitali, contrassegno buono: dicono però i Francesi che staranno qui ancora un mese: questo sarebbe un eccidio; ma pare che ai 20 o ai 22 saremo liberati. Non v’è però nessuna istruzione né tedesca né francese.

Oggi gran scena con Moschini bergamasco per aver posta in saccoccia la moneta per provvedere i muli, e invece si esige ancora i cavalli da carrozza, e il restante delle boarie. Gran orrori, gran monopoli, e gran minaccie.

Due deputati cisalpini vennero con un nota da Caloandri a perare per il passaggio di 300 giacobini che vengono dal Banato [regione oggi della Romania]per farli alloggiare e mantenere a spese del loro governo: questi vengono chiamati i martiri della libertà.

Oggi è arrivato il general Gazan, subito ricercò tavola e altro dal pubblico. Dio ce la mandi buona.

Quando mai terminerà questo investimento di tutto, questa desolazione pubblica e privata, questo vivere cruccioso, questa umiliazione, e questo furore che non potrà ai nostri occhi spegnersi che con altrettanto furore. La mollezza fa star impassibili, ma la costante tortura, la privazione delle proprietà farà risvegliare delle conseguenze incalcolabili cui Dio solo potrà metter argini.

 

14 [marzo 1801]

Si dice che in 9 giorni non vi saranno più Francesi, ma dimani si va a provveder panni a Schio, e venne ricercata la Sala Bernarda per i sartori.

I Francesi che vanno a Venezia fanno delle sugestive largizioni per cui si fanno bramare: funesta direzione che non essendo qui necessaria non si pone in pratica, mentre in tutto sono diversi dall’altra volta. Le spese per costoro sono immense, se si fermano qualche giorno di più non si può sussistere. Contuttociò tutti gridano più dei deputati che dei Francesi: alcuni dicono che questa regia democrazia è più dilapidatoria dell’altra: chi vuol giustificare il passato col presente: chi grida senza conoscenza di causa, chi per necessità, chi per malvaggità, e chi per un certo fatalismo che sembra di raggirare gli eventi.

Un uffiziale disse che l’Italia è la sepoltura dei soldati, la miseria degli uffiziali, e il paradiso dei commisari e dei generali. E gl’Italiani cosa dicono? che i stranieri formeranno sempre la loro rovina.

Tutti dicono che Parigi è un paradiso terrestre; ma che il restante della Francia è in un deperimento considerabile. Tutto il mondo è rovinato, ma se sussisterà la pace, le migliori leggi saranno quelle che faranno cambiar faccia alle cose. Certamente né la destruzione, né gli inceppamenti potranno produrre prosperità.

 

15 [marzo 1801]

Chi sente gli uni i Francesi partono presto, hanno ordinato sollecita la partenza degli ospedali, e del biscotto, e ai 20 tutto sarà finito. Ma chi sente gli altri i Francesi destramente indicano di partir sempre presto, ma si vede munizioni, scarpe, e biscotto ad andare a Treviso, e da quella parte vi sarà ancora 30 mille uomini, che ci vuol il suo tempo a vederli in movimento; questi propendono per la partenza alla fine di marzo e ai primi di aprile. Frattanto noi si roviniamo all’eccesso ogni giorno ci costa verso 10 mille ducati, l’altro giorno 80 mille lire, ieri alle 11 della mattina s’aveva di già esborsate 60 mille lire: non si può formarsi un’idea della diabolica direzion francese in materia d’interesse. Ci vorrebbero dei reami, non delle provincie inesauste per contentarli.

Si va gettando con lentezza a nostre spese le mura. Tutto dimostra un’aria di distruzione e di disprezzo: contuttociò vivendo in un caos, molti sperano la vendita di Verona, e di Mantova, molti la ressurrezione della veneta Repubblica, molti un Arciduca. Tutto par possibile, e ogni stravagante idea par probabile. Ma in fondo la grandezza della Francia, la dura legge, che apertamente essa da al Continente, il lievito delle opinioni, e il giro fatal delle cose che corrono nella prosperità, e solo prendono fiato nei tempi contrari mi fa credere che le cose difficilmente si sistemeranno all’antico andamento, bensì temo che vedremo delle novità che occasioneranno delle conseguenze incalcolabili.

 

16 [marzo 1801]

Il console Furio fondò le nostre mura, il console Bonaparte le abbatte.

Non si sà quando partono i Francesi, ma si crede presto; tutti temono l’ultimo addio.

Lacombe gran capitalista di Parigi esibisce di mandar moda.

Sulla sera arrivarono due brigate da Treviso: tutto si dirige a Milano, bella, grande, vivace e ben vestita.

Qui si fa 800 divise che devono esser terminate per i 20 caso che nò, si faranno finire per requisizione nelle case.

La truppa gira tutta la notte: non v’è disciplina né di caserme, né di nulla.

Si teme per il Monte [di Pietà], la piazza trema di tutto.

Dal canto tedesco nulla si sa. Passa prigionieri reciproci di cambio, e ambe le nazioni dicono il più vantaggioso per loro. Ma la diplomazia parigina è più misteriosa di tutte le altre.

 

17 [marzo 1801]

Questa mattina Dubar notificò che non più la partenza era vicina, stante che Ratisbona ha ricercato quattro settimane cominciando dai 6 di marzo per far le ratifiche della pace, poi fra il cambio e l’esecuzione poveri noi! ma i più avveduti dicono che la scena finirà ai 8 d’aprile.

Per colmo di disgrazia si rinnovò l’ordine infame di voler tutto l’intero della contribuzione, e fra i regali di Brune e di Moncey si termina con tutte le doppiezze e nequizie francesi a dover pagare quel ch’era men male che si avesse sostenuto sin dal principio, ma i Francesi amano di espilare, di raddolcire, e di torturare in fondo l’universo intero con dei raggiri indescrivibili.

I Francesi sensibilano per gli affamati Montagnuoli,[abitanti delle montagne dei 7 Comuni] e come ponno soddisfare alla loro curiosa umanità a spese altrui; così comandano che si dia 52. milla franchi ai Sette Comuni. Convien considerare che la città loro decretò prima 40. mille, ma che non contenti si posero a far la corte ai Generali francesi, ed Espital facendo a mezzo con essi li favorì. Tutto si raggira così, e il nostro eccidio è imminente.

Devono arrivar Francesi da Verona per completar la Divisione che abbiamo. L’andirivieni è sommo, si mangia e si tracanna, e si leva la pelle, ma non contenti di ciò comprano biade a più potere a soldo vivo, e le mandano altrove, se l’affar non finisce presto, le rissorse sono finite.

18 [marzo 1801]

Oggi corrono le buone nuove, solito ingrediente francese. Oggi cannonate, domani raddolcimento. Si dice dunque che Trento è evacuato, che a Verona è sospesa la demolizione dei castelli, e che l’Imperatore anderà al Mincio e all’Adda, ma io credo che fra una disgrazia e l’altra camperremo senza vederla finita.

Gran Francesi vengono da Treviso, e da Verona, e parimenti partono, ne va in territorio, e si sostiene con ciò le caserme per gli arrivati: il consumo di tutto, e la mancanza di rissorse è giunta all’eccesso.

Il mercantile si distingue nella poca sensibilità e sforzi per la patria.

Certo Franco Ferrajo meriterebbe una statua per il suo vero amor patriotico, esempio che commove nei perfidi tempi nostri.

 

19 [marzo 1801]

Oggi non ci son nuove; si alterna nel caos.

Il generale Mainoni comasco sembra un vero galantuomo, ed ha assicurato che s’interesserà vivamente al gran momento della partenza francese. Ciò dà della pena, ma la Provvidenza ci assisterà.

Gran alloggi, gran inquetudini, gran cabale, gran requisizioni, e gran privazione di rissorse in tutto, si dura non si sa come.

Domani partiranno tre mercanti per Lipsia per incagli di commercio, questo sarà un male che ad essi sarà sensibile: per il resto non meritano che i voti del vantaggio del lusso, unico bene che può derivare da loro. La patria e l’umanità li riguardano come degl’individui appartati dalla società.

 

20 [marzo 1801]

Oggi tutti i generali concordano che ai 7. del corrente Ratisbona ha ratificato la pace, e che frappoco evacueranno da questi paesi.

Si getta giù le nostre mura con delle picciole mine.

Siamo ridotti alla noja dei Francesi, alla tiepidezza per gli Austriaci, all’impossibilità per l’avvenire, e non si si agita che per trovar onde pagare le immense spese attuali.

Dal Bon commissario disse che l’armistizio era fatto in decembre, e i confini fissati all’Adige, e che se l’imperatore avesse avuto da dare ai Francesi 10 millioni, e dei viveri non avrebbero essi oltrepassata quella demarcazione, ma l’impossibilità fece abbandonare i nostri paesi alla loro incursione per saziare simile compatata. Bel regalo! che per saziar l’ingordigia si avrà avuto più di 40 millioni di danni.

Tutti i Francesi dicono che la Turchia sazierà l’imperatore, e che queste belle contrade diveniranno Republica, e che fatalmente noi soggiaciamo a quell’adagio politico che vogliono le circostanze: bel conforto! Questo è un indicar spogli e nuove agitazioni.

 

21 [marzo 1801]

Oggi si dice che sieno pervenute le ratifiche della pace anche a Milano, che fra 10 giorni si evacuerà.

Gran parata, e gran soldati in piazza, magnifici brillanti, e a colpo d’occhio invincibili, se i doni di costoro fossero atti a renderli onesti, qual gente sarebbero! ma i talenti, il brio, le vittorie, ed altro rendono maggiormente insoffribili le loro nequizie.

Cadono le mura, e si dice traballino le più importanti di Verona e di Padova. I Tedeschi coll’eco di simili trofei scendono lentamente al nostro acquisto, e noi spogliati, avviliti, e senza tramontana saremo gli umilissimi servitori di chi capiterà.

 

22 [marzo 1801]

Furiose requisizioni di pane, di carrozze, e di tutto, segno evidente che presto le ratifiche si pubblicheranno. Gran superbia, e gran viltà francese: si disputa sino sui soldi.

Niente si sa dal canto tedesco. I Francesi però vengono da Treviso, ma c’è una confusin somma, contuttociò insensibilmente si vede delle partenze.

Di Milano, di Verona nulla si sa, gran misteri, e gran tenebre.

 

23 [marzo 1801]

Tutto è in gran movimento, ma si teme che s’ingojerà ancora per dieci giorni.

Si dice evacuati Roveredo, e dei reggimenti a Mestre, ma niente di ufficiale.

Si esige assai per aver onde mantenersi a nostre spese anche dopo l’arrivo delle ratifiche, in cui non si potrà più esiger nulla senza denaro sonante.

Gran sotterfugi, violenze, e ragirazioni.

Espital fa la figura dell’espilatore. Tutti temono quest’ultimo addio.

 

24 [marzo 1801]

Oggi un nella sola città alloggiamo 7. mille Francesi, oltre quelli del territorio. Bassano paga e ce li regurgita; in oggi si avrà speso da 82. mille lire; si va d’un trotto che se non cessa, non ci resta più nulla.

Oggi vado e doman resto è il ritornello che ci conforta.

Furor di gente si vede, e non v’è paragone della magnificenza, e bellezza dei Francesi in paragon dell’altra volta. Il mondo galante intimorito non eguaglia la volta passata, ma se il tempo ci fosse, credo che la supererebbe. C’è però un’aria di avarizia che soffoca la galanteria. Ma se il Francese la palliasse come fa in tutto, il Francese sarebbe il galante per eccellenza.

 

25 [marzo 1801]

Oggi s’incomincia a scorgere che le ratifiche sono in saccoccia, e che ricevute le immense requisizioni si vocifera che in tre giorni partirà la metà della nostra guarnigione, e che forse nella ventura settimana saremo liberati.

Espital volendo far a mezzo con una comunità esige soccorsi, e minaccia l’arresto dei Deputati, i quali però resistono.

Alla bottega di Carlo si declama contro la deputazione. Ma invero i Francesi li han costretti a tutte le tasse possibili, sicché tutti gli opinanti di finanza furono serviti: ve ne fu sull’estimo alla democrazia, all’aristocratica, prestazioni, piaggerie, a viso creduto ricco, ma come convien pagare, così tutti sono arrabbiati, tanto più che molti non possono far giornata.

Questo paese non so come regga a tanti esborsi, e a tante inquietudini e angarie. I Francesi prendono generi, mobili, e argenterie, e si vede a mercanteggiare sino i librai. Soldo e robba è un ingrediente della libertà che liberamente inghiotte tutto.

 

26 [marzo 1801]

Moncey scrive che stante le purezza del zelo della deputazione e le ratifiche avute, non vi debba essere più espilazioni. Espital ha dovuto poner le pive in sacco.

Mainoni si fa un gran onere, e pare la Fenice dei Francesi: la deputazione voleva regalargli un carrozzino, ma egli lo ricusò dicendo: L’unico favore che bramerei sarebbe che scriveste al quartier generale che non siete rimasti mal contenti di me.

La vera arma dei Francesi sarebbe il gatto, il qual fa mille versi, ma graffia sino al sangue.

Si si consola colla partenza in tre giorni di tre battaglioni, ma non si sa ancor nulla dei Tedeschi, ora si confessa finalmente che le ratifiche son giunte, onde si spera.

È creato un Consiglio di guerra di 5. Francesi, e altrettanti di nostri per consultori per giudicare gl’insorgenti nelle ville.

 

27 [marzo 1801]

Questa mattina si cannonò un poco le ratifiche, e si ha assicurato che ai 3 del venturo verranno i Tedeschi. Ad onta di essersi avvantaggiati i Francesi prima delle ratifiche non potendolo far dopo, ragirano per farsi mantenere ancora dai particolari colla forza, dunque convien ancora servirli: essi sono liberi da tutte le leggi divine ed umane. Si getta giù le mure, credo più per il comodo privato che per una autorità.

Terminerà dunque quest’orrida tragicomedia in cui, e sostanze, e angustie, e chimeriche idee han ribaltato tutte le teste e le fortune. Il Cielo faccia che non si travesti in altra guisa le medesime circostanze, e che possiamo una volta respirar quella tranquillità, che le apparenze non dinotano.

 

28 [marzo 1801]

Arriverà 1800 uomini da Castelfranco: si dice che ogni cosa sarà, poi succede. Dei Tedeschi nulla si sa. I Francesi però pajono tranquilli, e si dice che passerà tutto con buon ordine.

Si mercantizza panni, sete, forniture, e di già i mercanti profittano, ma ce neha voluto a persuaderli che l’estimo della città sarà efficace alla sicurezza: non fu che Schio che si può dichiarare bene merito della patria. Intervenienti e avvocati tutti opinavano diversamente.

29 [marzo 1801]

Mentre si angustiava per le angarie di Espital protette da Gazan, e che si temeva de Suchet verificando i biglietti del Monte, ciò servisse per pretesto d’un spoglio, giunge inaspettatamente il generale Michaud spedito da Moncey espressamente per far avere a questo benemerito paese, e sua onesta deputazione il bene almeno d’una tranquilla partenza. Questo tratto è bello in Moncey, tantoppiù ch’egli ricorda la sua resistenza costì con molta gentilezza e premura.

 

30 [marzo 1801]

Perché venga conturbata la più minima speranza nel mentre che contenti della venuta di Michaud, perché questo poneva termine alle angarie e futuri ragiri, e assicurava della più perfetta tranquillità in questi ultimi momenti, ieri esso partecipò che ai 4 del venturosi ritirerebbe di qui, perché è ordinato a guarnire le sponde dell’Adige, ch’egli ha spedito due corrieri ai Tedeschi, ma che non ne ha avuta alcuna risposta, però consiglia la deputazione a spedirne un altro. Non si avrebbe creduta una tal scena, ma tutto è fattibile, e possibile nei nostri tempi. Siamo ridotti a pregare che ci prendino, non perché non siamo certi che tali bocconi non si trascurino, ma perché la fame, e la disperazione ci minaccia, e giacché siam destinati alla soldatesca, almeno sia qualche volta proficua: vedremo cosa sarà.

È venuta della bellissima cavalleria da Castelfranco: si attende ancora altri 1800 uomini, poi si spera finito tutto, mentre Suchet e Delmas vanno da un’altra parte.

È arrivata la truppa del nostro territorio, e la nostra pulizia dice gran disgrazie! Non consiglio alcuno andare in campagna; i comuni però si son tutti armati in difesa dagl’insorgenti: gran miserie, e gran timori!

La Commission francese che dovea giudicare gl’insorgenti catturati è andata così lentamente, che non ha più il tempo per giudicarli.

Passa di continuo i prigionieri d’opinion politica liberi e salvi.I Cisalpini li vestono e pagano per essi: gran ceffi, gran barbe, gran capotti, e palossoni!

La nostra deputazione ha la compiacenza di veder la sua direzione lodata dai suoi stessi nemici, in confronto di quella dei Padovani, Trevigiani, e Bassanesi, che soffrono assai in tutti i versi.

 

31 [marzo 1801]

I Tedeschi si dicono alla Piave, e domani a Treviso. I Francesi han concertato che resterà qui Mainoni per comandante della piazza sino alla consegna.

Le truppe arrivate da Bassano e Padova vennero per i loro dipartimenti accompagnate colla compana a martello da tutte le ville.

Ora si sostien che l’armistizio di Napoli è rotto, sicché la misera Italia soggiacerà ancora a mille rovine e incertezze.

I Francesi son giunti a un tal estremo che li rendono formidabili, e la gran lotta dei tiranni del Continente e dei mari deciderà in grande il destino dell’Europa. Noi rovinati in tutti i sensi, siamo balloni, che non conosciano l’ultima direzione che ci verrà data.

Dopo 4 anni che scrivo questo giornale non avrei creduto che ne terminerei il primo libro nell’istessa catastrofe in cui l’ho incominciato. Le illusioni ci fanno passare men male la vita, ma le realità riescono più pesanti, e i presentimenti più non si sostengono in bene per il futuro, mentre tanto si sono avverati funesti sino al presente. Faccia il Cielo mentre e uomini e cose si trovano in un caos che non sarà tanto facile da riordinare.

 

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